Dopo 600 anni di storia e leggende l’acetilene degli speleologi non è sufficiente a fare luce sui misteri della fortezza di Albornoz


Tratto da “Speleologia n°19”

di Roberto Nini

La Rocca di Narni si innalza sulla sommità del monte che sovrasta la città, a 406 m sul livello del mare e domina la vallata del fiume Nera e la Conca Ternana.

Sappiamo ormai con certezza che la rocca fu costruita per volere del Cardinale Albornoz su mandato del Papa Innocenzo VI intorno agli anni 1360-1378 e che già nel 1371 essa era nella fase di ultimazione.

Dopo la costruzione Papa Eugenio IV (1431-1447) la dotò di alcuni fossati e armi da fuoco che in quel periodo cominciavano a rivoluzionare le tecniche di guerra.

Successivamente anche Papa Niccolò V (1447-1455) proseguì nell’opera intrapresa dal suo predecessore facendo costruire casematte, falsebraghe, rivellino, tutte opere esterne che servivano a fronteggiare un nemico dotato di bocche da fuoco. Intorno al 1484 sotto i Papi Sisto IV e Innocenzo VIII, venne costruita la maestosa Porta delle Arvolte, poi divenuta Porta Ternana, che fu messa in comunicazione con il fortilizio tramite una lunga cortina (in parte ancora esistente e ben conservata nei pressi dell’ex convento di S. Margherita).

Nel 1527 ci fu il sacco dei Lanzichenecchi e le cronache del tempo ci narrano i danni immensi subiti dalla città e dalla Rocca.

Dopo tale evento iniziarono intorno al 1530 i lavori di restauro sotto Clemente VII e terminarono a più riprese sotto Giulio III (1550-1555).

Probabilmente in quegli anni fu rifatto completamente il primo piano delle due ali residenziali e vennero restaurate le torri. Tra il 1642 e il 1649 si ha notizia della costruzione del Bastione, torre esagonale posta sulla collina che domina il lato più debole della Rocca, posta in quel sito per meglio difendere la fortezza dalle artiglierie nemiche e ad essa collegata tramite una galleria sotterranea, almeno così si legge su un vecchio scritto (Nel 1982 cercammo invano anche con l’aiuto di una strumentazione geoelettrica, tale cunicolo. Nonostante queste indagini, che rilevarono solo una differenza di stratificazione geologica ed una linea di faglia, e nonostante uno scavo all’interno del locale posto all’interno del Bastione parzialmente allagato, la galleria rimase nella leggenda).

Infine le ultime sostanziali modifiche furono fatte apportare da Gregorio XVI (1831-1846) che trasformò la Rocca in carcere. Nel settembre 1860 la Rocca passò sotto il governo italiano.

Anche sotto il nuovo governo e fino al 1905 essa fu adibita a penitenziario. In quell’anno il Regio Demanio la mise in vendita per una somma irrisoria, ed essa passò in mani straniere: precisamente divenne proprietà di un vecchio principe russo, ultimo discendente dei D’Angiò. Negli anni ’70 passò per successione testamentaria all’avvocato Virgilio Farenga di Roma che finalmente nel dicembre 1984 la vendette al Comune di Narni ed alla Provincia di Terni. Ridotta in pessime condizioni con alcune murature già crollate, è stata fatta oggetto di studio per la redazione di un progetto di restauro e recupero per essere destinata ai più svariati scopi, dal museo di arte moderna ad un Casinò, da centro di documentazione a ristorante. I lavori sono iniziati nel 1986 ed oggi sono in fase di ultimazione.

Vista la complessità delle strutture e l’esistenza di locali sotterranei l’equipe progettuale ha chiesto al nostro Gruppo una collaborazione per l’esplorazione ed il rilievo delle cisterne e dei cunicoli sino ad oggi conosciuti. Intorno alla Rocca dell’Albornoz ha sempre aleggiato un’ombra di mistero, ultimamente anche storie di fantasmi, legata a lunghe gallerie che conducevano al Bastione prima citato e all’interno della città o a spaventosi trabocchetti che si aprivano all’improvviso sotto i piedi di ignari visitatori. Spettava ad una attenta analisi delle strutture esistenti dare una seria risposta a tante domande.Purtroppo ci siamo dovuti limitare nel nostro lavoro ed esaminare quello che si vedeva, in quanto, appena iniziate le opere di restauro che potevano portare alla luce nuovi vani sotterranei, la direzione lavori ci precluse ogni possibilità di accesso al cantiere, facendo svanire di colpo tutte le nostre speranze di trovare qualcosa di nuovo.

Forse non sapremo mai se la Rocca di Narni aveva ancora qualche segreto da svelare. Il nostro lavoro pertanto si è limitato all’osservazione e rilievo di tre cisterne ed un cunicolo. Le cisterne, due delle quali per la conservazione delle acque, avevano importanza strategica in caso di assedio in quanto la Rocca non era dotata di altro sistema di approvvigionamento idrico. Il cunicolo rappresentava forse una via di fuga.

Da notare che sul “Maschio”, la torre più alta dove avveniva l’estrema difesa e che poteva essere isolata rispetto al castello, esiste un piccolo vano lungo la scala a chiocciola in pietra che porta ai piani alti, dove convergevano le acque del tetto e dove attingevano gli ultimi strenui difensori del castello. Una sorta di cisterna prensile.

Prendiamo in esame le singole cavità da noi studiate:

Cisterna n°1

Posizionata nella parte centrale del cortile con accesso da un apertura ottagonale, protetta da una vèra in travertino ora non più esistente, di forma che richiamava l’antecedente fontana di Piazza dei Priori nel centro storico di Narni. L’invaso, di dimensioni medie di m 6,50×5,80 coperto con una volta a botte a mattone, ha una profondità, dal piano esterno, di m 6,93. Le murature interne posseggono un robusto strato di intonaco che non presenta tracce di lesioni.

L’acqua si immetteva da due tubi in cotto, con attacco ad incasso, tipici del tempo, provenienti probabilmente da un calatoio o un doccione di confluenza dei tetti che coprono le due ali residenziali. La profondità dei due tubi rispetto al piano esterno lascia supporre la presenza di un filtro di decantazione. Sulla volta si aprono inoltre altri tre fori praticati successivamente alla costruzione originale, probabilmente recenti, per eliminare le acque piovane dal piazzale; tale funzione viene assolta anche da una caditoia in pietra posta nei pressi dell’ingresso principale. Il fondo della cisterna, oggetto d’esame, converge al centro dai quattro angoli, dove è presente un piccolo bacino di raccolta per facilitare la pulizia del fondo, stesso fine avevano anche le smussature che si rilevano su due dei quattro angoli, precisamente da circa la metà dell’altezza della cisterna fino al pavimento.

I numerosi materiali presenti sul fondo sono stati tutti rimossi durante i lavori senza alcun metodo di scavo scientifico e senza provvedere ad una loro catalogazione facendo venir meno anche un’altra importante possibilità di lettura delle varie vicende storiche vissute all’interno della fortezza in periodi più o meno lontani da noi.

Cisterna n°2

E’ posta nei pressi della Torre detta di S. Filippo, opposta al Maschio, l’ingresso è formato da una botola quadrangolare che si apre sul pavimento di un locale con volta a crociera. La cisterna di dimensioni di m. 2,60×4,20 è dotata anche di un pozzetto, adiacente al primo, ora chiuso. La copertura è costituita da volta a botte, costruita con tecnica mista, pietrame e mattoni, le murature verticali sono totalmente intonacate e non presentano lesioni. Ha un’altezza dall’esterno di m 8,25.

L’acqua proveniva da due tubazioni in cotto, poste sui due lati minori, situate, una tra il vertice dell’arco e il piano d’imposta, l’altra sul centro dell’arco, nel lato opposto.

Questa cisterna, come quella nel cortile, non ha bocchette di troppo pieno.

La struttura è scavata interamente nella roccia, (da come si può notare in alcuni sondaggi eseguiti lungo le scale che portano ai sotterranei); le murature sono state poi riprese con pietrame fino a portarle a piombo e infine intonacate. Le pareti hanno sul fondo un gradino di 13 cm, inclinato verso l’interno, che gira per tutto il perimetro, coperto in parte da numerosi detriti di varia natura. La struttura fa supporre la cisterna successiva alla prima e nello stesso tempo la fa assomigliare a uno di quei trabocchetti pieni di punte acuminate che trafiggevano gli ospiti poco graditi, questa però è solo una fantastica ipotesi.

Cisterna n°3

Non serviva certamente per conservare acqua in quanto la sua posizione, esterna alla fortezza, l’assenza di tracce d’intonaco, la presenza di fori posti sulla muratura a file regolari, fanno pensare ad una vasca di dispersione. La costruzione, di dimensioni medie m 4,00×3,00, sembra essere abbastanza recente rispetto al resto del complesso, ad essa si innesta un cunicolo basso, con copertura a volta in mattoni a sesto ribassato disposti in piano, passante lungo il fossato in direzione del “Maschio”. Il condotto poteva portare le acque di rifiuto o di drenaggio dalla Rocca a tale vasca che con la sua conformazione disperdeva i liquidi.

La struttura è addossata alla cortina che arriva alla Porta delle Arvolte (ora Porta Ternana): ad essa si accede ora da una breccia aperta sul muro, prima invece da un pozzetto quadrangolare che si trova sul cervello della volta.

Cunicolo

Sul sotterraneo della torre di S. Filippo si apre, nel muro che guarda il bastione, un cunicolo costruito in muratura e volta a mattoni, per lo spessore della fondazione della torre, poi interamente scavato nella roccia calcarea stratificata.

Tale galleria, lunga complessivamente m 25,00 circa, originariamente di dimensioni tali da permettere il passaggio di una persona in piedi, esce sotto lo sperone roccioso verso S-E.

All’interno, il percorso è interrotto da una frana provocata dal distacco della pietra stratificata, separata da leggeri veli di argilla; sono presenti inoltre due diaclasi di sicura origine tettonica, ortogonali all’asse della galleria, che si inoltrano per alcuni metri all’interno del banco roccioso.

Si possono fare solo delle supposizioni circa l’uso di tale via sotterranea:

a) era il cunicolo che metteva in comunicazione la Rocca con il Bastione, franato poi successivamente o interrotto intenzionalmente;

b) era una strada per prendere eventuali nemici di sorpresa o usata per entrare o uscire dal castello senza passare per il portone principale.