- OLTRE LA LUCE
- Pipistrelli da amare
- LE AVVENTURE DI JACK, JOHN E MARY
- Recluta speleo...ATTENTI!
- Alimentazione in grotta
- Poesia di Virgilio
- Buonanotte UTEC
- Masini racconta...
- La Traversata dei Sibillini
- Preghiera di uno speleologo
- Preghiera del Nodo Nostro
- 40 ANNI E NON SENTIRLI
- L’ESCURSIONE di Capitan Biff
Oltre la Luce...
Laddove il tempo è pura convenzione
e le viscere del tuo animo
sono i tasselli mancanti
di un immenso mosaico naturale,
vestirsi di roccia e volare con la fantasia
ove tutto tace permettendoti di ascoltarti,
dove il miracolo della vita si compie sornione
e forse ammalia persino la morte,
oltre la Luce...
Libero
Articolo apparso su Tutto Scienze-La stampa del 17 ottobre 2001
Scritto da Caterina Gromis di Trana
Ogni atlante di zoologia tra i mammiferi illustra le 31 specie di pipistrelli che volano nei crepuscoli d’Europa. Per avere un commento sincero alle immagini bisogna mostrarle a un bambino digiuno di sapere scientifico, libero di dare sfogo al pensiero istintivo. “C’è di meglio” dice il ragazzino guardando le figure di chirotteri a testa in giù ordinate sulla pagina, ad ali chiuse, con in primo piano il profilo del muso. Ha ragione: l’occhio spontaneo tralascia l’acculturato perbenismo scientifico, e allora i pipistrelli appaiono proprio brutti. Bisogna tener conto della loro bruttezza nella lotta per la conservazione di questi animali, perché c’è poco da fare: è facile convincere chiunque a proteggere le rondini, ma non è facile far volere bene ai pipistrelli: devono farsi perdonare i musi rincagnati, l’aspetto dei topi volanti, le orecchie a sventola, gli sguardi porcini e quelle ali membranose che sembrano scialletti funebri.
Ma per conquistare la giusta benevolenza verso i mostriciattoli che spiccano il volo all’ora dei vespri qualcosa in effetti c’è: sono le zanzare, tortura dell’estate. Altro che candele alla citronella, zampironi e bombolette: basterebbero i pipistrelli, se fossero tanti, frotte silenziose a fendere le tenebre e a fare giustizia di insetti notturni, dannosi e invisibili agli occhi dei più.
Qualcuno che non bada all’estetica esiste ed è pronto ad accogliere e a proteggere i paladini della notte: addirittura c’è chi tanto li desidera attorno che vorrebbe comprarne qualche coppia in un impossibile mercato. Non c’è commercio di questi mammiferi volanti, molto legati al loro territorio. Si sono fatti esperimenti su pipistrelli presi, inanellati e rilasciati. Tornavano, dotati di straordinarie capacità di orientamento, da dove erano venuti, percorrendo distanze anche di un centinaio di chilometri. Meglio allora trovare altre maniere: nei luoghi di pasto abbondante, dove l’agricoltura non richiede massiccio uso di pesticidi nefasti, i pipistrelli ci sono. Si vedono solo quelli che cacciano alla luce dei lampioni e gli altri si nascondono così bene che sembrano pochi. Tanti di certo non sono, ma per dirlo di sicuro bisognerebbe andare in giro con un bat detector, strumento efficace nel rilevare i suoni ad alta frequenza e nel fornire indicazioni sulla presenza di singoli individui.
Tutti i pipistrelli sono dotati di un apparato che permette loro di diffondere ultrasuoni, che producono attraverso le narici o le corde vocali, secondo la famiglia a cui appartengono. Così si spiega il naso mostruoso dei Rinolofidi, che non è stato affibbiato loro dalla natura per dispetto: una membrana cartilaginea situata attorno alle narici serve sia ad emettere gli ultrasuoni sia a ricevere le onde sonore di ritorno. E hanno un significato anche le orecchie, che certe volte sembrano grottesche e spropositate ma che, grazie ad una membrana detta “trago”, specializzata nella ricezione di onde sonore ad alta frequenza, permettono di schivare gli ostacoli e i predatori, e di costruirsi nel cervello una memoria acustica, e quindi una mappa sonora dell’ambiente: così viene individuato e zittito con un rapido guizzo anche il ronzio quasi impercettibile di uno zanzarino.
Vale la pena di aiutare questi malfamati innocenti: è universalmente accettato che i pipstrelli sono tra le poche specie che meglio indicano qualsiasi declino ecologico dell’ambiente, grazie alla loro rapida reazione demografica ai cambiamenti degli ecosistemi. Bisogna conoscere abitudini e preferenze e rendere i loro luoghi accoglienti: se non ci sono vecchi solai, tronchi cavi, case abbandonate, grotte e caverne, si può provare con le cassette nido. Sono fatte in cemento e segatura, e se riescono a sostituire i rifugi perduti per colpa dei tempi moderni di finestre sbarrate, abbaini inviolabili e sottotetti impenetrabili, possono segnare un successo e collaborare a rendere abbondante l’insetticida naturale migliore che c’è: da un piccolo gruppo potrebbe forse formarsi una ricca colonia.
Esistono, tra gli appassionati di animali, i cultori della fauna ipogea: sono persone che studiano e proteggono il mondo delle tenebre, aggirandosi come spettri per grotte e caverne e che insegnano anche agli altri , comuni uomini diurni, ad apprezzarne i misteri. Per amore dei pipistrelli si sono riuniti per la prima volta nel 1998 a Castell’Azzara, piccolo paese inerpicato a sud dell’Amiata, al margine di una zona d’Italia piena di storia, arte e turismo. Il luogo è famoso per una grotta, e li si è dato appuntamento un folto gruppo di gente di cultura, speleologi e zoologi arrivati da diversi paesi dell’Europa, per rendersi contol’un l’altro delle loro personali ricerche, scambiandosi notizie e formulando programmi futuri. In Italia ci sono 31 specie di pipistrelli, e 9 di queste vivono insieme nella grotta di Castell’Azzara, usando in modo diversificato i suoi microambienti. Il convegno del 1998 è stato il primo e per ora l’unico in Italia: 24 sono risultate le specie di pipistrelli per il Piemonte, due delle quali, Myotis myotis e Myotis blyti, formano la più grande colonia nota nell’Italia nord-occidentale, tra le mura dell’Abbazia di Staffarda. E’ tempo che gli specialisti si riuniscano di nuovo e che portino alla luce i risultati delle più recenti ricerche: forse sono incoraggianti, e nuove colonie di uccelli dalle ali di pelle, come li chiamava Aristotele, stanno crescendo discrete eprosperose: la loro compagnia numerosa al crepuscolo allontanerebbe l’idea del nostro pianeta invaso dai pesticidi e da altri peggiori veleni.
di Andrea Masini
Eccovi le avventure di:
Jack Little Box (Andrea Scatolini)
John 's Salmon (Giuseppe Grifoni)
Jenny Basil (Annalisa Basili)
e altri che faranno da corollario alla storia:
Mark Banjo di Castel City (Marco Bani di Città di Castello)
Free Little Dove (Libero Colombini)
Mark Big Cuts (Marco Taglioni)
Jack Little Box e John s' Salmon da una settimana avevano programmato l'uscita ai cinque laghi, e a metà settimana anche Jenny Basil si era offerta per l'uscita.
La mattina di sabato, però, 2 ore prima della partenza John telefona a Jack dicendogli che forse avrebbe dovuto partire più tardi, poi di nuovo John ha ritelefonato a Jack per dirgli che forse aveva un impegno in serata, alchè Jack, un tipo che non passa tanto per le lunghe, dice a John di lasciare perdere e rimandare la grotta ad una prossima volta, ma John era pronto a tutto, anche ad andare in grotta da solo, telefona a Jenny per proporle comunque l'uscita. Jenny accetta, John ritelefona a Jack per convincerlo, quindi anche Jack accetta, soltanto che bisogna rimandare la partenza di un paio d'ore, perchè una amica di Jenny è stata vittima di un'aggressione da parte di un maniaco sessuale alle 11.30 di mattina sotto i garage dell'ufficio, allora Jenny tutti i giorni fino alle 13.00 non si muove dai garage sperando che il maniaco ritorni per abusare anche di lei.
Si prende la macchina di Jack, Jenny offre qualche biscotto, mentre John si siede sul sedile posteriore semi tramortito. Jack mangia un panino frugale con 5 euro di salame, mentre John telefona a Mark Banjo di Castel City per avere maggiori informazioni sull'accesso alla grotta.
Mark Banjo dà un appuntamento all'angolo nord-est delle mura di Castel City, forse proprio per verificare l'orientamento dei tre, infatti dopo aver atteso inutilmente all'angolo sbagliato John telefona di nuovo a Mark per chiedere chiarimenti, ma risponde la moglie, Mark è partito in bicicletta, allora Jack si lancia lungo le mura di Castel City in cerca di un brutto ceffo in bicicletta... un'altra telefonata di John lo avverte che Mark è già arrivato, li ha trovati anche all'angolo sbagliato!
L'ospitalità di Mark, con una bella birra, cartine di Monte Nerone, cartina della Grotta dei Cinque Laghi, cartina fatta a mano in scala, è eccezionale, vediamo anche una anteprima di una presentazione per il museo di Piobbico, e poi, finalmente, si parte.
Da Castel City a Serravalle di Carda le curve si susseguono, John si tramortisce per non vomitare, la guida geometrica di Jack è alquanto instabile, mentre Jenny fa sfoggio del suo senso di orientamento dicendo quattro volte lungo il tragitto: "ecco, qui abbiamo fatto la festa dell'ultimo dell'anno" e soltanto due volte chiede: "ma che l'abbiamo passato il rifugio dove abbiamo fatto la festa dell'ultimo dell'anno?"
Finalmente si arranca verso Serravalle e Jack inizia a fare sfoggio della conoscenza dettagliata del territorio, anticipando il cartello stradale "Colombara" e azzeccando tutti i bivi fino ad arrivare ai prati di Monte Nerone, ma le nuvole basse sono fatali e prima del Rifugio Corsini è costretto suo malgrado a consultare la cartina. Ok, imboccano la strada giusta, primo tornante a destra, finalmente John si sveglia (per modo di dire) esclamando "Porcamadò.. che nebbia, io comunque devo finire il sonno.."
Parcheggiamo al tornante, John si avvia già sul sentiero per la grotta, poi ritorna indietro a vestirsi, Jack è praticamente già vestito e quando i due sono pronti ad incamminarsi, Jenny che comunque non sarebbe entrata in grotta si chiede: "Ma quale sarà la strada per la grotta?"
John e Jack non gli rispondono, però gli suggeriscono di avvicinarsi un pò con la macchina all'ingresso basso perchè è da li che usciranno.
Tipi non meglio identificati li salutano dall'altra parte dell'Infernaccio, forse anche loro sono speleologi che stanno uscendo da qualche grotta.
La discesa sui fianchi dell'Infernaccio non è difficile e salvo qualche scivolone i tre arrivano facilmente all'ingresso, foto di rito e via, sono le 17.00 e si salutano con Jenny, dandosi appuntamento dopo due ore fuori.
Jack e John entrano nelle attillate strettoie iniziali; la grotta si allarga quasi subito offrendosi in tutta la sua bellezza: scallops sul soffitto e piccole stalattiti, l'acqua ha lavorato vorticosamente, aprendosi la via verso il basso in gallerie suborizzontali, mentre sul pavimento si ammirano una successione di vaschette stupende; anche se sanno che il ramo che stanno seguendo chiude, proseguono ugualmente in quella direzione, in cerca del sesto lago a cui Mark aveva accennato. Le salette si susseguono con molte colonne stalagmitiche che fanno da contorno a paesaggi fiabeschi. Dopo un po' il paesaggio fiabesco lascia spazio ad un fango appiccicoso, ma i due non si danno per vinti, si fermeranno soltanto quando, spalmati sulla grotta come formaggini su un panino, rimangono praticamente intrappolati in un infimo pozzetto di fango viscido come l'olio Castrol.
Ormai invischiati come carciofini sottolio prima di uscire dal barattolo, tornano indietro rinunciando a vedere il sesto lago e proseguono verso la zona dei laghi propriamente detta.
Passato uno stretto pertugio arrivano alla prima "pozza"; l'acqua non è abbondante nonostante i recenti acquazzoni di questo strano agosto, e la grotta è piacevolmente illuminata dall'unica acetilene di John, infatti il gasogeno di Jack è completamente atturato e in un ultimo tentativo di stapparlo Jack fa una bella bocconata di terra, fango, gas acetilene, polvere di carburo esausto e qualche altra schifezza, ma l'operazione non dà il risultato sperato. Annaspando dietro a John con la fioca luce dell'elettrica Jack riesce a godersi solo delle strane "orme", ossia delle buchette che cospargono il pavimento fatto di una crosta calcitica piuttosto spessa.
Passato il secondo lago i due speleologi girano un pò prima di capire che devono infilarsi in un pozzetto dove defluisce tutta l'acqua della grotta, stranamente non si bagnano, ma hanno l'occasione di fare la scoperta della giornata: Il Ramo dei Narnesi, cioè una rientranza di un metro sotto una crosta calcitica che è li li per rompersi.
Jack attraversando il quarto lago cerca di immaginare lo stupore di Mark Banjo quando accompagnò quelli del TUEC (Tecnic Union Explorig Caves) a visitare la grotta che egli aveva scoperto, trovando addirittura un Animalittus Banii che abitava nel delicato ecosistema. Insomma, ad un certo punto, uno del gruppo dei visitatori, un certo Free Little Dove (Libero Colombini) preso dalla Riastarda (il Furor Celtico) si tuffò a pesce nel gelido lago sotterraneo, quasi per voler fraternizzare con il timido crostaceo Banii...
Intanto i due proseguivano tra le acque gelide, ne sapeva qualcosa John che aveva solo un paio di scarponcini da trekking, mentre il furbo Jack se la rideva con i suoi stivaloni al ginocchio. Soltanto all'ultimo lago, memore della gara di tuffi vinta da giovane a Palinuro, Jack decise di smettere di fare l'equilibrista e si decise a guadare, imbarcando qualche litro d'acqua gelata negli stivali.
La grotta era finita, si esce su un prato vicino alla strada. Provano a chiamare: "JENNYY!! JENNYYY!! non c'è...
E mentre John e Jack risalivano stancamente i tornanti di Monte Nerone, centinaia di mosche vedendoli infangati e marroncini li scambiarono per due cacate di vacca, ma John prontamente ricavò un frustino da una frasca per scacciare i fastidiosi insetti. Incrociarono un furgone che scendeva ma non ebbero il fiato per chiedergli se avevano visto un'Astra Station Wagon Blu parcheggiata da qualche parte.
Dopo un chilometro di cammino, cibandosi di more, fragole che sembrano fragole ma sono more ancora rosse, bacche, muschi e licheni, arrivati al tornante dove avevano lasciato la macchina, potete immaginare le bestemmie di Jack quando vide che la macchina non c'era, e Jenny chissà dove cazzo era andata. John disse: "solo una cosa abbiamo sbagliato, a non chiedere niente a quello di prima col furgone", e Jack rispose: "no, avemo sbaiato a dargli le chiavi della macchina!!".
I due completamente sporchi di fango, bagnati e leggermente contraddetti decidono di ritornare in basso, molto più in basso, dove forse Jenny li attende in macchina. Un altro urlo: "JENNYY!!" ma nessuna risposta.
Scendendo sentono il rumore di un auto e Jack pietosamente si piazza al centro della strada, costringendo il turista milanese a fermarsi.. "Per favore se vedi un'Astra Blu Station Wagon TR224575 parcheggiata più giù puoi dire alla ragazza che siamo quassù?"
Probabilmente il turista milanese non sà minimamente cosa è la speleologia, ne' conosce le grotte della zona, gli rispose: "Vi Vedo Bene!!" e probabilmente avrà pensato che i due non si erano feriti gravemente, ma delle motociclette non s'era salvato niente...
Finalmente arriva Jenny, che era andata comodamente a vedere la chiesa di S. Michele a Cerreto. Improperi e corbi, poi i due si spogliano, e un altro nugolo di mosche si avventa sulle mutande marroncine di Jack che continua ad asserire che è solo fango.
John e Jack si rivestono e questa volta Jack prende l'iniziativa (non l'avesse mai fatto) decidendo di andare a mangiare la crescia ad Acquapartita.
Conoscendo a menadito il territorio elenca le mille avventure passate sui prati del Monte Nerone, di quando aveva preso la scabbia con Mark Big Cuts (Marco Taglioni) e arrivato a Serravalle all'incrocio del Poeta tira dritto verso la pineta.
I tre arrivano alla pizzeria giusto all'ora di cena, nessuno dentro ma, sarà per l'abbigliamento, sarà per l'aria sconvolta, sarà per il baffo di fango che orna il volto di Jack, insomma, il proprietario del ristorante anche se è un montanaro gli dice che senza prenotazione non si entra. Jack ha una illuminazione: Si può andare a mangiare a Candeleto! Impressionando il gestore del ristorante chiede qual'è la strada per Pietralunga, passando per "Corniole", il proprietario lo sconsiglia, ma ugualmente Jack inforca una scorciatoia, cioè un tratturo che scende nella macchia. Atteggiandosi a profondo conoscitore della zona fa anche lo spiritoso raccontando di vari aneddoti di ragazze conosciute in gioventù da quelle parti, incrocia una strada asfaltata ma non la segue, e John che si stava riaddormentando apre gli occhi per dire: "Solo un pacio pò lascià la strada asfaltata"; tra lusco e brusco la Station Wagon fa visita a quattro o cinque casolari della zona e sempre John sottolinea che siamo pure fuori cartina. Finalmente un cartello indica un nome di località: "Colle Antico" e Jack si illumina, bene, sono ancora sulla buona strada, basta prendere in discesa.
Dopo aver allungato di dieci chilometri e una buona mezz'ora (se fossero passati per Massa-Pianello sarebbero arrivati molto prima) presero la strada a destra per Pietralunga ad un'incrocio senza indicazioni, anzi, l'unica indicazione era Colle Antico, proprio da dove provenivano i tre. Ormai al buio, solo Jack sapeva la strada e John riaprì gli occhi un attimo: "Umbertide?? Ma 'ddo stamo? ma si sicuro de sapè la strada?" presi dai morsi della fame nemmeno si accorsero del cartello per Candeleto e filarono dritto anche davanti ad una pessima trattoria di Pietralunga. Scesi a valle, dopo Montone videro sulla destra "Pizzeria IL RUSTICHELLO": un nome un programma. Dove siamo? Chiesero i tre. A Santa Maria di Sette, fu la risposta, un pò come dire a Frittole.
Strano ma vero, la pizza era buonissima, il vino alla spina pure, i formaggi anche, il vino successivo ancora di più, il prezzo molto basso, locale indicato per tornarci, molto vicino ad Umbertide sulla strada per Montone, indicato anche per chi passa sulla E7.
La giornata giungeva alla fine lungo la strada per Narni, stanchi ma felici, i tre portavano a termine un'altra indimenticabile avventura del TUEC: Tecnic Union Explorig Caves!!!
In questo racconto vorremmo porre l'accento sul problema del servizio militare come interruzione fisiologica del ciclo naturale dello speleologo avviato. L'articolo trae spunto da fatti realmente accaduti ad un nostro vecchio socio, ormai dissociato, durante l'anno di naia. Per rispettare la privacy, il nostro socio sarà chiamato amichevolmente Friz...
Friz ha avuto grandi difficoltà di ambientamento, in quanto il giorno successivo al suo arrivo gli è stato riscontrato un grave eritema solare dovuto ad una eccessiva esposizione alla luce solare dato che la caserma si trova stranamente sulla superficie terrestre e non nel suo interno.
Purtroppo non è l'unico problema nel quale è incappato Friz che sembra, dopo la distribuzione delle divise sia andato a protestare vivamente con il caporale di giornata, facendogli notare che dell'imbrago avrebbe potuto farne anche a meno, utilizzando in sostituzione un laccio da scarpe e la cintura dei pantaloni, ma di certo non riusciva a capire a cosa potesse servire un casco senza l'impianto per l'acetilene e senza neppure la wonder.
Sulle prime il caporale rimase interdetto, dopo di che gli spiegò che quello non era un casco bensì un elmetto e che per schiarirsi un pò le idee erano consigliabili quattro giri di corsa della caserma. Alla domanda di Friz su che media in metri al secondo avesse dovuto mantenere durante la corsa, i giri diventarono otto. Friz da quel giorno non fece più domande, almeno di questo tipo.
Seguì la consegna delle brande. Subito il nostro giovane speleo si chiese dove avrebbe potuto allongiarsi per la notte. Ai compagni che gli domandavano come mai dormisse a testa in giù, Friz rispose che a lui il sangue ai piedi non faceva molto bene.
Il compito preferito da Friz fu quello di pulire un certo posto pieno di buche che soffiano, chiamato da tutti bagno. Pare addirittura che più di una volta sia stato sorpreso con la testa infilata dentro la latrina mentre urlava: "Continua!!!" e che in una notte senza luna, in preda ad un attacco di speleo follia , al grido di "o sbuco o morte!" abbia fatto saltare con delle microcariche tutte le turche della caserma costringendo i compagni ad utilizzare gli alberi del vialone per una settimana. Questo attaccamento alla fede speleologica gli costò cento giri di corsa della caserma, questa volta Friz non si pose problemi sulla media oraria da tenere (speleo si, fesso no!).
Altri misteriosi incidenti seguirono a questo: Camion che all'improvviso sprofondavano in buche apparse dal nulla, interi battaglioni inghiottiti da diaclasi apertesi all'improvviso, senza parlare delle decine di soldati costretti a ricorrere alle cure mediche per distorsioni provocate da piccole buche forse causate da alcune talpe. Non è stata mai trovata una relazione tra questi fatti e la presenza di Friz sul luogo pochi minuti prima dell'incidente, certo è che la cosa ci fa molto pensare.
Anche il ritorno alla normalità, se in questi casi di normalità si può parlare, non fu cosa semplice.. il nostro milite in un eccesso di collera stracciò il registro delle riunioni dell'UTEC davanti agli occhi esterrefatti del gruppo, tanto è vero che di alcuni anni di attività resta il buio di un registro irrimediabilmente dilaniato; Seguì poi l'abbandono della speleologia ed un andamento inebedito, forse dovuto proprio al rigido regolamento della vita di caserma.
L'alimentazione in grotta è importantissima, soprattutto perchè spesso le uscite possono durare anche molte ore e non sempre è facile portarsi appresso portavivande, cibi caldi, nutrienti, altamente proteici, facilmente assimilabili, quindi la pausa del pasto è uno scambio continuo di materiale commestibile, dove ognuno mette a disposizione degli altri partecipanti la propria razione. Dopo decenni di libagioni, ecco un menù classico che scaturisce, qualche volta sotto forma di rigurgito, dopo una bella sgrottata:
Antipasto
Involtini di prosciutto con torrone bianco e grissino
Primo
risotto ai frutti di mare con nutella
Pepata di cozze (muscoli) con il mascarpone
Secondo
Cotoletta alla milanese con crema di mele e alici
Pollo alla diavola con marmellata ai frutti di bosco
Contorno
Patate al forno con baccalà
Dolce
Panettone con piselli
Pandoro con aringa affumicata
Vino
Abbondante
Personalmente ricordo di aver mangiato con certezza un panino con salame negronetto e latte condensato sopra al Pozzo Perugia (Monte Cucco) e Pane mortadella con prugne secche sopra il Centenario (Chiocchio). Per la difficoltà di trasporto e i numerosi urti, è vivamente sconsigliata la banana, i crakers e i wafer.
SEDUTO NEL BUIO AMICO
LO STILLICIDIO LONTANO ODO
IL SUDORE MI SCENDE SUL
VISO SPORCO DI FANGO
NUVOLE DI VAPORE S’INNALZANO DA ME
E CALDE E DENSE VANNO VERSO LA
SOSPESA VOLTA...............
IL CUORE SENTO NELLE TEMPIE
BATTERE VELOCE
AMMUTOLISCO NELLA MIA SOLITUDINE
PENSANDO A DIO QUI.
“SENSAZIONI” Di Virgilio avute nel corso
del primo tentativo UTEC al fondo (-514 m)
della Grotta del Chiocchio
9 settembre ‘79
Di Libero Colombini
La canzone fu composta ed eseguita qualche anno fa alla vigilia dell'escursione nella grotta di Monte Cucco. Finita la lauta cena al Centro Nazionale di Speleologia di Costacciaro, dopo diversi grappini cominciarono a risuonare queste semplici e beneauguranti note...poi estesa in versione 40ennale
Buonanotte a quello speleo, che stanotte fa baldoria,
e che forse, da domani, sarà eroe alla memoria
Buonanotte a tutti voi, chi sarà mai il sorteggiato?
via le mani dalle tasche: chi si gratta è già spacciato!
Buonanotte a chi non riuscirà a dormire,
Buonanotte a chi non si risveglierà.
Buonanotte a quell'ignaro che va a dormir contento,
non curante del mio avviso che è un fraterno avvertimento,
ma domani all'ospedale dirà "Certo ho fatto male;
se lo avessi un pò ascoltato non sarei paralizzato!"
Buonanotte a chi adesso se la ride,
Buonanotte a chi non la racconterà.
Buonanotte a quella corda che striscia sulla roccia
che proprio quando scendi è capace che se scoccia.
Buonanotte anche allo spit che è un pò arrugginito
e che appena ti ci "allongi" sei già bello che finito.
Buonanotte a chi domani andrà in grotta,
Buonanotte a chi farà una gran botta.
Buonanotte a quello speleo che ci allieta col suo canto,
chissà se poi domani sarà in un burrone sfranto.
Buonanotte a chi al rifugio ha la moglie o fidanzata,
ne approfitti questa notte forse è l'ultima trombata.
Però adesso festeggiamo, quarant'anni sono tanti,
ai cinquanta, lo sappiamo, non saremo tutti quanti.
Cari amici, cari speleo ora non vi preoccupate,
questa è solo una canzone, un gran mucchio di stronzate.
Caro UTEC buonanotte, ora pensa un pò al futuro
e tranquillo che domani andrà male di sicuro...
A volte nella vita ci troviamo di fronte a degli episodi che condizionano gli anni a venire; Nella fattispecie un momento della mia giovane vita è stato determinante per abbracciare definitivamente la Speleologia...
Già da un paio di anni avevo pensato di iscrivermi ad un corso di Speleologia con i Pipistrelli di Terni, ma non conoscendo nessuno di quel gruppo, un pò per paura, un pò per timidezza, abbandonai l’idea, ma nel 1990 l’occasione fu propizia, perché la mia fidanzata, di Narni, non ancora speleologa, mi propose di partecipare al corso di Speleologia dell’UTEC.
Conoscevo già qualcuno quella sera, e salendo le scale della sede, a picco nel vuoto, mi chiedevo cosa sarebbe stato di me in quei due mesi di corso...
Entrai in un salone dove alcune persone sedevano ordinatamente ed in silenzio al loro posto, mentre un tale con la barba grigia e moschettoni raccontava con enfasi alcune avventure a carattere speleologico...
Nel corso della serata venne appeso un metallaro ad una scala in ferro e questi, con l’aiuto di alcuni attrezzi da speleologia, che non distinsi ne tra loro ne dalle borchie e chiusure lampo personali, riuscì a risalire i pochi metri di corda che lo sovrastavano. L’incontro si concluse con la consegna dei materiali, in un magazzino dove sembrava che una valanga di fango si fosse riversata su quelle corde, quei caschi, quei moschettoni, mentre una patina giallognola ricopriva ogni cosa.
Io non capii molto quella sera: La patina di fango, il metallaro, gli attrezzi... non capivo nulla della grotta e della speleologia... Il corso proseguì con le esercitazioni su corda, le tecniche di progressione, ma ancora non capivo quelle facce sorridenti, quella cordialità...
Finalmente ci fu la prima uscita vera, la prima grotta che per ogni buon Narnese è Montebuono:
Entrammo in un buco nella parete, oltre un piccolo cancelletto in ferro rosso; La mia acetilene si spense subito frustata dall’aria gelida che usciva dalla cavità. Procedemmo in silenzio, uno dietro l’altro, entrando in un mondo mai visto, mai immaginato, con la faccia inebetita io e la mia fidanzata guardavamo quelle concrezioni e non riuscivo neanche a credere che l’acqua potesse fare di questi scherzi...
Arrivammo in fondo alla grotta e qualcuno propose di fare buio...
La luce si spense e l’oscurità assoluta mi inghiottì; Il mio cuore pulsava impetuoso mentre il tempo scompariva... io non avevo più confini e i miei sensi si allargarono fino a sentire la roccia, fino ad essere roccia io stesso, poi acqua, poi vento, in una dimensione senza tempo.
Poi qualcuno accese la luce e tutto riprese la sua forma... non so quanto tempo passò ma fu un esperienza indimenticabile, e ogni volta che vado in grotta cerco di ritrovare quella sensazione unica.
Una canzone di Battiato recita queste parole:
“Un oceano di silenzio scorre lento senza centro ne principio.
Cosa avrei visto del mondo senza questa luce che illumina i miei pensieri neri.
Quanta pace trova l’anima dentro! Scorre lento, il tempo di altre leggi, di un’altra dimensione... Scendo dentro un oceano di silenzio sempre in calma."
Io non so se Battiato sia mai andato in grotta, certo è che io ci sono stato a se avessi avuto la voglia di parlare avrei detto queste parole.
Poi ci furono altre grotte, altri corsi e altre persone, ed io scoprii che di tutte le strettoie che incontrai, la più difficile è quella che sta in cima alle scale della nostra sede: è la porta di ingresso dell’UTEC... Molti l’hanno passata, sono entrati, hanno vissuto due mesi abbastanza avvincenti, poi la scelta... uscire o restare, attraversare di nuovo la strettoia o rimanere nella grande famiglia.
Ora capisco tutto finalmente, capisco la patina di fango, gli attrezzi, la progressione su corda e parecchie volte anche quei volti sorridenti, e qualche volta sorrido con loro
di Andrea Masini
Sono le 11.00 del mattino e stiamo scavando sulla terra nera; Libero è davanti a me a pancia all’aria, dietro di me c’è soltanto Gigi che butta fuori la terra che gli passiamo noi due...
Una settimana fa eravamo riusciti a togliere tutti i sassi che ostruivano una micidiale strettoia ad L, il flusso dell’aria non sembra costante, quindi scaviamo in cerca di un probabile secondo ingresso, che risolverebbe l’enigma di questa corrente insolita di Montebuono.
Questa mattina piove, il gruppo elettrogeno si è ingolfato e il demolitore è inutilizzabile... Libero lì davanti scava come un’ossesso, vengono fuori piccoli sassi, terra e qualche osso, forse l’uscita è vicina...
Siamo senza casco per guadagnare spazio nel cunicolo angusto, devo anche ripararmi dai calci che Libero per forzare la strettoia mi da in faccia, finalmente riesce a passare, la voce arriva incerta: “Dammi la mazzetta...”, entra anche Gigi, io resto dietro e continuo a levare terra per rendere più facile il passaggio... Sento Libero che rimane indietro, Gigi più avanti sta’ ispezionando le strettoie, ne trova una che torna indietro e sento la sua voce dietro di noi... era quella che ci aveva bloccato sabato scorso... Gigi va, rompe delle stalattiti e forza un’altra strettoia...: “Si allarga...”.
Io non ho ancora passato la strettoia con la terra, poi finalmente anche Libero passa la strettoia con le stalattiti, mi chiedono di prendere la macchina fotografica rimasta dove stavamo scavando... passo ancora la strettoia, poi rientro di nuovo, poi ancora la strettoia con le stalattiti.
Ci siamo; qui dentro, nonostante gli undici anni della grotta non c’era mai stato nessuno; La grotta anche se piccola precede da tutte le parti... Siamo frastornati, cerchiamo di orientarci nel nuovo labirinto, cercando la prosecuzione tra molti cunicoli abbastanza stretti, poi due scivoli scendono, io ne imbocco uno che si stringe troppo, di fianco a me scende Gigi e poco dopo lo sento oltre la strettoia; esclama continuamente, io e Libero lo seguiamo con ansia, poi usciamo in una sala discreta, intorno almeno tre pozzi e noi la seguiamo con la nostra immaginazione... I pozzi sono franosi, noi non abbiamo l’attrezzatura perché speravamo di trovare solo il secondo ingresso , invece eccoci qui... E’ la prima volta per tutti e tre nessuno si era mai trovato a tu per tu con l’esplorazione vera con sotto i piedi quel ben di Dio di mistero...
Sono le tre del pomeriggio quando usciamo, raggiungiamo gli altri e raccontiamo tutto; Sono increduli anche i “vecchi” che hanno trovato Montebuono molti anni fa...
Oggi è lunedì, sono passati già due giorni, ieri gli altri sono tornati lì con l’attrezzatura, ma io non li ho ancora sentiti; ...per me sotto quei pozzi potrebbe esserci ancora di tutto e l’attimo di attesa si sta’ prolungando, sto ancora vivendo con eccitazione quell’ora di sabato mattina...
Domani, con i rilievi, i racconti, le foto, quel nuovo ramo sarà solo un pezzo di grotta come tante altre...
Di Stefano Rossini
Scarpinata d'Agosto, fatica....eccome se ti conosco!
Era una torrida giornata d'Agosto quando Masini ci propone con la solita tranquillità di chi sta andando a fare la spesa, di andare a fare la traversata dal m. Vettore (da Forca di Presta) ad Ussita, trascorrendo la notte nel rifugio Zilioli.
Sarà stato perchè eravamo fusi dal caldo, sarà stato perchè già pregustavamo tutti una fresca notte di montagna dopo le notti insonni trascorse in città, fatto sta che abbiamo accettato l'insana proposta....
Mentendo poi spudoratamente, abbiamo convinto anche il nostro iper-tecnologico Max a venire con noi, dicendogli che il tratto più duro sarebbe stato il primo e che una volta giunti in cima al Vettore, sarebbe stata una passeggiata in discesa verso le vallate fiorite sottostanti....quanto ci ha odiato poi per questa piccola bugia! Partiamo nel primo pomeriggio con entusiasmo, gli zaini sono così carichi che le nostre auto sembrano quelle di sfollati, musica di Latte e derivati e vai! comincia l'avventura!
Siamo io, Corso UTEC 1992, Marco Taglioni Corso UTEC 1991, Masini Corso UTEC 1990 e Massimo Anelli Corso Tacito SNC.
All'arrivo a Forca di Presta l'aria è fresca e le prime boccate già ci ripagano del caldo sofferto nel viaggio.Il Vettore si presenta con tutta la sua imponenza, e qualcuno comincia a sospettare che non sarà proprio una passeggiatina verso valle...
Zaini in spalla e via arzuti e pettorilli, nei nostri volti si legge la sfida che sta per essere lanciata, nei nostri pensieri, :"macchìcelohafattofà?".Comunque ormai ci siamo e nessuno ha il coraggio di ammettere le proprie debolezze.
La prima bella notizia è che le chiavi del rifugio sono già state consegnate ad altri e che pertanto saremo costretti a dividerne il comfort con altri. Ma noi siamo gente socievole e tutto sommato coviamo la segreta speranza di passare la notte con qualche simpatica e..., generosa donzella, l'idea ci mette le ali ai piedi. La lingua ci arriva a strisciare per terra, ma ciò nonostante non perdiamo il sorriso, il paesaggio è magnifico e ci allevia in parte dalla fatica. Arrivati al rifugio, con ancora più o meno un'ora di luce davanti, restiamo in contemplazione del paesaggio, (in realtà stiamo tirando il fiato @?#!!!!) quando dal nulla ci appare un tizio (?) che non ci fa una buona impressione, ci dice che sono ormai 5 giorni che si trova lì da solo, che la notte vede volare animali strani, (secondo me aveva mangiato carne estera)...
A questo punto delusi dal fatto che le nostre ipotetiche donzelle sono svanite come neve al sole decidiamo di proseguire per la grotta bivacco, un albergo a 5 stelle sopra i laghi di Pilato.
Quando giungiamo alla grotta è ormai praticamente notte, siamo affamati e stanchi per la marcia ma contenti. Sistemato il bivacco comincia il rito della "magnata", tiriamo fuori dai nostri zaini come fossero cilindri da prestigiatori le cose commestibili più disparate, il top lo raggiungiamo con Max quando estrae dal suo zaino una scatoletta di vitello in salsa verde, a lui non è piaciuto, ma in ogni caso non è andato perso...,Masini ed io provvediamo affinchè che nulla vada sprecato...., anche se devo dire che qualche volta ancora si rinfaccia! Sotto un cielo stellato splendido e nonostante avessimo alzato il gomito di strani "esseri volanti" non c'era traccia a parte un simpatico pipistrello che notte tempo ci è venuto a far visita forse ci aveva scambiato per dei suoi simili.
Lo stellone dell'UTEC brillava alto a Sud, proprio sopra lo Scorpione.
Alle seconde o terze luci del mattino ci rimettiamo in marcia.
Salite e discese si susseguono,ormai tra una sosta magnereccia e l'altra siamo giunti ad Ussita giusto all'ora di pranzo.
Siamo provati fino allo stremo con i piedi doloranti, ci rinfreschiamo un po' al fontanile ma puzziamo ugualmente come capre nonostante ciò decidiamo ugualmente di andare a pranzo al ristorante, la fame cancella ogni senso del pudore.Finito il pasto (tutt'altro che frugale) chiediamo al proprietario del ristorante se potevamo accomodarci un pochino nella sala TV...... dopo 3 ore di sonno profondo tra ronfate scorregge e odori di varia natura arriva a svegliarci con aria sconvolta il proprietario del ristorante, che ci caccia....ecchediamine!! Stanchi ma contenti dell'impresa ce ne torniamo verso il caldo che avevamo lasciato il giorno prima rafforzati nello spirito e nell'amicizia.
Dedicata a tutti quegli amici che condividevano con noi la grande passione della speleologia, ma che purtroppo ci hanno lasciato...
"Signore, ti ho cercato tra le vette ed abissi
e dovunque ho trovato palese il tuo segno.
Ma quaggiù più che mai la mia anima
è piena della tua pace.
Dammi o Signore la buona ventura,
ma se mi accadesse di perdere la vita che tu mi donasti,
fa che io riposi per sempre in questo incantato silenzio."

Nodo nostro,
che sei in corda,
sia santificato il tuo intreccio,
venga il tuo regno,
sia fatta la tua volontà,
come in aria così in terra.
Dacci oggi la sicurezza quotidiana
e rimetti a noi le nostre paure,
come noi le rimettiamo a nostri successori,
e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dallo sfracello.
Amen.
Frax.
L'UTEC è un torrente di montagna, scintillante e spumeggiante, è acqua che scorre e lavora, segnando il territorio: Il torrente fatto di più di 250 persone che in quarant'anni hanno partecipato alle nostre attività, hanno cercato, sperato, sofferto, esplorato.

Come un torrente di montagna l'UTEC travolge con piene improvvise, alternate ad estati asciutte, ma quel solco tra le pietre rimane anche con il letto in secca.
E come ogni torrente si rigonfierà ad ogni pioggia, un pò della sua acqua si infilerà sottoterra in qualche fessura appena accennata, disegnando il suo percorso sotterraneo, mondi sconosciuti, bui, silenziosi. Grotte.
L’ESCURSIONE
ovvero
TRE (E PIÙ) SPELEO IN MONTAGNA PER NON DIR DEL CANE
di
Capitan Bif
Il pulmino arrancava faticosamente nella notte. Ad ogni curva i suoi fari saettavano nel buio, illuminando il fitto bosco ai lati della strada montana. All’improvviso una sagoma scura e massiccia uscì dal fitto degli alberi precipitandosi al centro della strada. “Ecchecazzè?!” disse l’autista mentre istintivamente sterzava per evitarla. La manovra riuscì in pieno, e il pulmino schivò l’animale centrando invece il segnale “Curve Pericolose per Km 4+500”, un paracarro in pietra, un’intera famiglia di quercette, una recinzione in filo spinato, per fermarsi infine contro il muretto di sostegno a lato della strada. Lievi borbottii di protesta per la brusca manovra furono mossi al conducente dagli altri occupanti dell’automezzo. Fortunatamente uno del gruppo scorse poco distante il profilo scuro del rifugio “Bela Madunnina de la Muntagna”, la loro meta, e l’esecuzione sommaria dell’autista a colpi di cric fu sospesa. “Beh, ragazzi”, disse un altro mentre buttava via il pesante pietrone che aveva poc’anzi raccolto per manifestare all’autista il suo dissenso: “Alla fine il nostro buon Virgilio ci ha portati a destinazione. Scarichiamo le valigie e gli zaini e andiamo su a piedi. Vedremo domani mattina cosa si può fare per il pulmino”. La proposta fu accolta con tacito consenso, e il gruppo si accinse a scaricare il bagaglio. “Ehi Virgilio, la portiamo su adesso l’attrezzatura speleologica?”. Non ci fu risposta. Nel silenzio della notte si avvertiva solo un lieve mormorio. Preoccupati si avvicinarono all’autista il quale, con gli occhi sbarrati dal terrore, era ancora inginocchiato sulla cunetta. Ascoltarono con attenzione “...miserere me domine quia peccavi...”. Lo scossero da questo penoso stato con parole di conforto e un paio di calci. Velocemente presero dal pulmino solo l’indispensabile, quindi, affardellati come sherpa tibetani, si diressero verso il rifugio, la cui sagoma scura si stagliava nella notte illuminata da una luna spettrale. “Animo ragazzi, non saranno che trecento metri, e poi una bella doccia calda e un piatto di fagioli con le cotiche!”. Dopo più di un’ora di marcia massacrante giunsero al rifugio. Erano madidi di sudore, con le vesciche ai piedi e affamati come lupi. Prima di crollare al suolo sotto il peso dello zaino Virgilio ebbe la forza di dire: “Bruno, fai il favore, avverti tu che siamo arrivati, che io sono un attimino stancoooooo”. La o trascinata fu causata da una violenta emissione d’aria dovuta al definitivo schiantarsi del presidente sotto al suo zaino (che come dimensioni ricordava il dirigibile della Goodyear) con conseguente compressione della gabbia toracica. Mentre un paio dei ragazzi cercavano di liberare il capo prima che soffocasse, Bruno si avviava verso il pesante portone del rifugio. A metà del cortile si volse indietro, e rivolgendosi ai suoi amici disse: “Certo che è proprio carino qui. Neanche sembra un rifugio, ha più l’aspetto di una baita. Non ci saremo mica sbagliat...”. Non finì la frase. Una gigantesca e pelosissima belva che doveva pesare almeno un quintale gli si scagliò contro, atterrandolo. All’unisono i membri del gruppo lanciarono un grido di terrore, stringendosi l’uno contro l’altro. Al centro del cortile si stava svolgendo una furibonda lotta. Non si distingueva altro se non un groviglio di peli (sia di cane che di barba), dal quale si levava un sordo ringhiare e grida del tipo: “A cuccia, a cuccia”. Come per miracolo una finestra del rifugio si illuminò. Se ne affacciò una donna. Dal gruppo partirono invocazioni (e imprecazioni) al suo indirizzo. “Zilenzio!” tuonò dalla finestra. “Koza kazzo è tutta qvezta konfuzione?! È tardi, e qvi c’è gvente che vuole ripozare!!” Dal groviglio peloso in cortile continuavano a provenire orrendi rumori intervallati da “A cuccia, a cuccia”. Il portone di ingresso si spalancò e ne venne fuori un uomo in vestaglia e ciabatte. Impugnò un badile che era appoggiato contro la parete. Richiamò il cane, apostrofando il povero Bruno, solo per un pelo sfuggito a morte certa per dilaniamento: “Maledetto zingaro barbone, lascia stare il mio cane!”. Detto ciò gli assestò una tremenda badilata in fronte, tramortendolo. Virgilio, appena liberato dallo zaino, schizzò in piedi gridando: “Ora basta! Ma che sistemi sono questi! Abbiamo prenotato un mese fa a nome Gruppo Speleologico UTEC, da Narni. Dov’è il direttore del rifugio? Il vostro comportamento è inammissibile!”. Dalla finestra la donna disse con tono perplesso: “Koza kazzo ztanno dizendo qvesti ztronzi?”. Il volto del presidente avvampò d’ira, ma fu preceduto dall’uomo in vestaglia: “Voialtri deficienti state cercando il rifugio della Madunina, non c’è dubbio. Si trova una dozzina di chilometri più indietro, lungo la strada che avete percorsa per venir su. E adesso smammate alla svelta o vi lancio nuovamente contro il cane!”. Il silenzio scese su di loro. Mestamente cominciarono a raccogliere i propri bagagli, e ad avviarsi lungo la discesa. L’uomo li richiamò: “Ehi voialtri, non provate a fare i furbi! Questo qua è roba vostra, portatevelo via!”. Dal gruppo si staccarono veloci due ragazzi. Raggiunsero il povero Bruno che stava riprendendosi in quel momento, e, non appena ne ebbero afferrata una gamba per ciascuno, lo trascinarono via a faccia in sotto. “Dio che male”, gemette quest’ultimo, “Ragazzi fate attenzione perché così mi state rov...”. I due, nella fretta di allontanarsi, centrarono in pieno un grosso sasso con la testa del meschino, che svenne nuovamente. Virgilio si volse indietro: “Scusi se la disturbiamo ancora”, disse, “ma non potrebbe farci telefonare per avvertire il rifugio di mandarci incontro qualcuno?”. Lo scatto metallico del moschettone gli fece capire che non potevano telefonare e che era meglio avvertire il rifugio andandoci di persona, meglio ancora se di corsa. La belva li inseguì per pochissimo, non più di sei o sette chilometri. Arrivarono al rifugio (quello giusto stavolta) ancora di corsa. Stava albeggiando. Bruno, che si era fatto tutto il tragitto trascinato per i piedi a faccia in sotto, si tirò su e disse: “Io non ci vado più a bussare!”, e cadde nuovamente svenuto. Il presidente stava disperatamente praticando il massaggio cardiaco al medico del gruppo (il quale, non più giovanissimo, era in preda a una seria crisi cardiaca da affaticamento) e non poteva sospendere l’operazione. Del vicepresidente non c’erano più tracce (qualcuno asseriva di averlo visto cadere sotto le fauci della belva qualche chilometro prima, ma nessuno si era voluto fermare a controllare, e di tornare indietro a vedere adesso non se ne parlava proprio). Il segretario, terrorizzato a morte, non si era neppure reso conto che erano giunti al rifugio e aveva perciò proseguito di corsa senza fermarsi. Il magazziniere, noto fumatore, manifestava evidenti sintomi asmatici, e non si ebbe il cuore di mandarlo. Risultò infine che il più alto in grado era il bibliotecario. Questi si alzò in piedi ed eroicamente disse: “Bene, allora tocca a me”. Poi si voltò a guardare Bruno, rifletté un attimo sulla situazione ed aggiunse, rimettendosi seduto: “Do le dimissioni dall’incarico”. Era evidente che nessuno aveva il coraggio di rischiare personalmente un’avventura come quello occorsa al povero Bruno (che comunque stava già rimettendosi, e a parte qualche ecchimosi, un po’ di tagli, alcune escoriazioni e vari ciuffi di barba mancanti, era come nuovo). Infine, camminando leggermente curva in avanti mentre si teneva le mani pigiate sul pube, si fece avanti Valeria: “Io non ne posso più. Se non la faccio esplodo. Mi offro volontaria.” Manifestazioni di stima le vennero dall’intero gruppo. Cercando di assumere un aspetto dignitoso e un portamento marziale la ragazza salutò tutti. Si lanciò verso l’ingresso del rifugio col cuore il gola. Arrivò alla porta indenne. Tutti gli occhi erano puntati su di lei. Ecco, stava suonando il campanello. Cosa sarebbe successo adesso? Dopo una notte come questa erano tutti un po’ scossi e diffidenti. Una signora grassa di mezza età in grembiule, con una tazza di caffè fumante in mano, aprì la porta e Valeria disse: “Buongiornmiscusèquestilrifugdelamadunin?”. Quella le rispose: “Scusi signorina, che cosa ha detto? Se parla così veloce io non la capisco. Comunque il rifugio è questo”. E Valeria: “Siamdelgruppspeleologicutecabbiamprenotatunmesefa!” poi aggiunse con tono calmo: “Dove è il bagno per favore? Grazie!” e scomparve all’interno del rifugio velocissima, lasciando l’attonita cicciona sulla porta. Rassicurati da questa scena anche gli altri si fecero avanti. Per amor di verità va detto che i membri del gruppo speleologico non si presentavano nella loro forma migliore. Prima il lungo viaggio in pulmino, poi lo choc del cane, infine la corsa notturna. Insomma, per il loro aspetto ricordavano molto gli ergastolani della Cayenna che attorniavano Steve Mc Quinn in “Papillon”. Di sicuro la signora grassa dovette avere la stessa impressione, perché cacciò un fenomenale urlo e si richiuse la porta alle spalle. Questa imprevista mossa gettò lo sgomento tra i superstiti del gruppo, ormai sicuri che le loro tribolazioni fossero finite. Rimasero immobili e silenziosi davanti al portone chiuso. In particolare il giovane A.L. si gettò in terra in preda a una crisi isterica, singhiozzando e gemendo: “Voglio il cappuccino con la brioche! Non è giusto, abbiamo prenotato!”. Mentre lo schiaffeggiavano per farlo riprendere (operazione che, a dire il vero, alcuni compivano con eccessivo impegno) il portone del rifugio si aprì nuovamente e ne venne fuori il gestore. Il presidente gli si gettò fra le braccia. Molto confuso ed imbarazzato questi li invitò ad entrare dicendo loro: “La vostra amica mi ha detto tutto”. Si precipitarono dentro, assediando il banco della reception. Il presidente si ricompose e disse: “Bene, ragazzi, ormai è tardi per andare a dormire. Propongo di portare la roba nelle camere, farci una doccia calda seguita da una abbondante colazione. Poi potremmo scendere nella grotta piccola. Stasera a letto presto e domani subito nella grotta grande”. Accolsero la proposta con moderato entusiasmo. “Bene, se ci dà le chiavi delle stanze allora...”. Gli occhi di tutti si volsero fiduciosi verso il gestore del rifugio, che dopo aver tossicchiato con evidente imbarazzo cominciò: “Vedete, c’è un piccolo, piccolissimo problema. Oh, nulla di grave, non guardatemi così. Vi aspettavamo prima di cena, eravamo anche in pensiero per voi, sapete? Insomma, dato che voi non vi vedevate ancora, e che c’era invece una comitiva di alpini austriaci arrivata all’improvviso, beh, ecco, le vostre camere le ho date a loro. Gli affari sono affari dopo tutto. Lo capirete anche voi che non pot...”. Non soffrì molto. Probabilmente neanche se ne accorse. Del resto i membri del gruppo speleologico erano troppo stanchi per escogitare esecuzioni fantasiose ed elaborate. Rimaneva in ogni caso da risolvere il problema delle camere. Si voltarono verso la signora grassa. Questa, mentre fissava inorridita i miseri resti del marito, si affrettò a dire: “Nessun problema, c’è un rimedio a tutto”. Poi guardando nuovamente ciò che restava del marito, mormorò: “Quasi a tutto! Bene, vediamo di trovarvi una sistemazione, poi vi preparo la colazione!”. Cominciarono a sentirsi meglio. Chiesero di poter fare subito la doccia calda. La donna grassa sembrò voler dire qualcosa, ma il presidente si fece forte della sua autorità e la zittì. Anzi, volle essere, in virtù della sopracitata autorità, il primo a fare la doccia. Quando fu andato via la donna grassa riprese un po’ di coraggio e timidamente disse: “Volevo dirvi che lo scaldabagno è guasto e non abbiamo acqua calda. Ne dovremmo scaldare un po’ col paiolo sul camino”. Il giovane A.L. scattò in piedi: “Ma allora dobbiamo dirlo a Virgilio prima che...”. Si interruppe. Un grido straziante proveniente dal bagno lo fece raggelare. Riprese: “Come non detto, credo che ormai se ne sia accorto da solo”.
Valeria prese la parola: “Propongo di saltare la doccia. La faremo stasera prima di cena. Se siete d’accordo facciamo colazione e andiamo subito in grotta”. Si gettarono come un’orda di barbari in sala da pranzo. Sull’ingresso si scontrarono con i turisti austriaci che erano scesi per fare colazione anch’essi. Ne nacque una lotta selvaggia. I ragazzi dell’UTEC si scagliavano contro gli austriaci al grido di “Non passa lo straniero” e “A chi la colazione? A noi!”. Lo stesso Giuseppe Mazzini, se avesse potuto vederli, si sarebbe commosso di fronte a tanto ardore patriottico. Ma il nemico aveva cenato la sera precedente, ed era fresco di letto. I nostri eroi erano digiuni ed insonni. In breve furono ributtati fuori dal ristorante. Valeria riprese la parola: “Propongo di saltare anche la colazione e di andare direttamente in grotta. Mangeremo a cena con più appetito”. Presero i loro sacchi d’armo e si avviarono mogi mogi verso il sentiero. Dalla porta la donna grassa li salutò agitando la mano. Gli speleologi dell’UTEC si snodarono lungo le pendici della montagna con un entusiasmo paragonabile a quello dei partecipanti a un corteo funebre. Le espressioni dei volti andavano dal triste-sconsolato al depresso-senzascampo. Solamente Libero, noto enologo che viveva perennemente in stato di ebbrezza, sembrava apprezzare la gita, e cantava a squarciagola degli osceni cori alpini. Nel complesso la marcia di avvicinamento alla grotta ricordava l’esodo del popolo ebraico verso la terra promessa. Incontrarono a mezza costa una guardia forestale che, intimorita dal loro aspetto, li lasciò passare senza degnarli di una parola. A molti sembrò addirittura che avesse fatto finta di non vederli apposta. Verso le tredici, con un sole modello equatoriale che avrebbe schiantato in due anche un blocco di lava, il gruppo giunse infine all’ingresso superiore della grotta. Qui trovarono un botteghino sormontato dalla scritta “Biglietteria”. Se la cavarono con un ingresso cumulativo per comitive, che a conti fatti costò a ciascuno di loro quasi il doppio del biglietto singolo. Forte della sua autorità di leader Virgilio volle entrare per primo. A causa del brusco passaggio dalla luce all’oscurità non si avvide di una gigantesca stalagmite che troneggiava nella sala di ingresso. La centrò in pieno. Il gestore della biglietteria lo raggiunse per primo. Virgilio si schermi`, affermando di non essersi mica fatto tanto male e ringraziandolo per la sua sollecitudine. Questi lo guardò con la stessa benevolenza con cui si guarderebbe un matto e cominciò a stilare l’elenco dei danni da rimborsare. Si accordarono per fatturare a nome del gruppo ma senza l’IVA. Una volta che furono tutti entrati nella piccola saletta si radunarono, e cominciarono a dividersi in squadre. Quando si resero conto di essersi dimenticati il carburo la squadra di punta si era già inoltrata un bel pezzo avanti nel corridoio alla ricerca del pozzo. Il grido di terrore del giovane A.L. che si spegneva allontanandosi in profondità fece capir loro che avevano finalmente trovato l’imbocco del pozzo, malgrado l’oscurità. Si accinsero ad armare. Ognuno aveva un suo preciso compito da svolgere. Solo Bruno, ancora non rimessosi del tutto dalla brutta esperienza della sera precedente si sedette ai margini del pozzo per riprendere energie. Virgilio estrasse il suo sacco d’armo, e cercò tastando una superficie liscia sulla quale piantare lo spit. Ne individuò una rotondeggiante, levigata e ben compatta. Con pochi gesti esperti vi infisse rapidamente lo spit, al quale collegò una placchetta e un moschettone. Il secondo armo di sicura lo fece doppiando intorno a una grossa e pelosa radice che si trovava li vicino. Assicurò al moschettone una fune che fece poi passare attraverso il suo discensore. Si allongiò da qualche parte e si preparò per scendere. Mise i piedi sul bordo del pozzo, si sporse all’indietro per mettere la fune in tensione e precipitò nel vuoto, trascinandosi appresso il povero Bruno, sul cui casco aveva piantato lo spit, lo sgomento Gigi, sulla cui caviglia aveva legato la fune di sicura, e l’attonita Valeria, al cui gasogeno si era allongiato. Le loro imprecazioni si persero nel buio. Per il gruppo speleologico UTEC fu un duro colpo perdere tutta insieme una così elevata percentuale di iscritti. Libero propose di rinviare l’attività speleologica a data da destinarsi, e di rientrare al rifugio per mangiare qualcosa. La mozione passò all’unanimità. Si voltarono dunque per tornare sui propri passi ma alla fioca luce delle lampade elettriche imboccarono un altro condotto senza avvedersene. Solamente dopo aver vagato nell’oscurità per cinque ore furono colti dal sospetto di aver smarrito la via. Fortunatamente sentirono poco più avanti dei rumori, e si affrettarono per raggiungerne la fonte, convinti che si trattasse di voci provenienti dalla biglietteria. Grande fu il loro stupore quando si trovarono invece davanti a Virgilio, Bruno, Gigi e Valeria, leggermente contusi ma perfettamente integri. Spiegarono che dovevano la loro salvezza al fatto di essere atterrati sopra al giovane A.L., che aveva in tal modo attutito la loro caduta. Alla domanda che ne fosse stato di A.L. i quattro superstiti presero a fischiettare con evidente imbarazzo. Per pudore non si indagò ulteriormente ma si tenne un minuto di rispettoso silenzio. Verso le ore venti e trenta furono infine ricondotti fuori dal bigliettaio, che li era andati a cercare dovendo ormai chiudere per la sera. La marcia di rientro al rifugio fu molto più allegra e veloce di quella di andata. Era accompagnata da cori di borbottii di stomaco ed assoli di succhi gastrici che facevano impallidire i più rinomati complessi alpini. In prossimità del rifugio fiutarono il profumo delle braciole che arrostivano nel barbecue all’aperto: scattarono con uno stile e una potenza da far invidia al Mennea dei tempi migliori. Purtroppo il loro impeto fu tale che non riuscirono a rallentare né tantomeno a fermarsi una volta giunti al rifugio. Si schiantarono uno dopo l’altro contro il barbecue. Fu il più bel piatto di speleologi alla diavola che venne mai approntato nella storia della gastronomia italiana.
Vennero fuori dal barbecue uno alla volta, neri e fumanti come i dannati di un qualche girone infernale in attesa del giudizio universale, non senza essersi infilati in tasca abbondanti porzioni di braciole. Sfilarono mestamente in fila indiana davanti ai turisti austriaci, che erano da poco scesi nel ristorante per consumare il pasto serale. Entrarono nella reception del rifugio sgranocchiando senza ritegno costolette di maiale e scottadito di vitello. Virgilio, grazie al suo intuito che ne faceva un leader di indiscusso carisma, capì che era il momento di prendere in mano la situazione e dare una energica scrollata ai suoi uomini. Con un gesto atletico saltò sul bancone della reception, colpendo violentemente lo spigolo di marmo con entrambi gli stinchi. Si accasciò in ginocchio sul piano del bancone, mentre due lacrime gli solcavano il viso. Facendo finta di niente, arringò i suoi compagni: “Ragazzi, non permettiamo che un paio di stupidi imprevisti ci guastino questa stupenda gita”, e qui fece una pausa per asciugarsi un lacrimone. Riprese: “Su con la vita! Adesso ci facciamo una bella doccia calda, e scendiamo in paese a far baldoria!”. Balzò giù, esclamando: “L’ultimo che arriva alle docce paga da bere !”. Atterrò esattamente sui piedi di Gigi, che per una sfortunata coincidenza si era levato gli scarponi da trekking (modello Vergine Di Norimberga) per massaggiarsi le doloranti piante dei piedi. Infervorati dalle parole del loro presidente, e soprattutto timorosi di dover pagare da bere, tutti i soci UTEC si lanciarono su per le scale in direzione dei bagni. Gigi, che era stato abbandonato esangue sul pavimento della reception gli gridò dietro: “Ehi, ve lo ricordate che non c’è acqua cald.. “. Il corale urlo di terrore proveniente dal piano superiore gli comunicò che non se ne erano ricordati. Tornarono giù alla spicciolata, rassegnati ad aspettare ancora prima di godere del bagno caldo rigenerante. Donzy e Giada presero un grosso paiolo pieno d’acqua che misero a scaldare sul camino della cucina. Malauguratamente, mentre attendevano stravaccati nel salone attiguo che l’acqua arrivasse alla giusta temperatura, rientrò la cuoca, che era stata interrotta durante la preparazione del pasto serale dal trambusto provocato al barbecue. Al fine di recuperare il tempo perso si mise velocemente ad affettare verdure di ogni tipo che gettava poi dentro il paiolo sul fuoco, per preparare la minestra vegetale della sera. Quando Donzy tornò in cucina per prendere l’acqua calda non si accorse di nulla. Versò il contenuto nella tinozza e cominciò tranquillamente a farsi il bagno. Profumò di minestrone per quindici giorni. Gli altri preferirono lavarsi a secco con un flacone di Mastro Lindo Pavimenti che Giada aveva trovato in un ripostiglio. Indossarono quindi i loro Pile puliti, si fecero spiegare dalla proprietaria del rifugio la strada per raggiungere il paese e si avviarono. A questo punto, vuoi per la stanchezza accumulata, vuoi per lo stress subito, fatto sta che commisero un errore fatale: lasciarono che fosse Bruno il primo della fila! Infatti, grazie al suo spiccato senso dell’orientamento e al suo notevole intuito per la direzione, smarrirono in meno di un quarto d’ora il sentiero per il paese! Stranamente però la fortuna sembrava adesso aiutarli. Pur non avendo seguito le indicazioni fornitegli, infatti, erano ugualmente arrivati in paese. Giunsero in un’ampia pianura, dove sorgeva un piccolo nucleo di edifici, attraversato da vialetti ben illuminati e molto ordinati. Valeria osservò per prima: “Non ho mai visto un paese tanto piccolo!”, aggiungendo: “Deve essere una noia incredibile abitarci!”. Le rispose Gigi: “Ma va là. Guarda sulla destra che distesa di campi da tennis. Uno attaccato all’altro, non finiscono mai. Qui si che ci si diverte!”. Si fece avanti Giada, che esclamò: “Ehi, quelli non sono mica campi da tennis. É una pista d’atterraggio! Te lo dico io dove siamo, in un paradiso per ricconi! Altro che Cortina! Questi qui hanno anche l’aeroporto turistico. E guarda che aerei poi, mica robetta! Quelli sono dei jets. Uao, questo é il posto di villeggiatura del jet-set internazionale!”. Valeria riprese la parola: “Peccato che le villette siano tutte uguali. E non sono neanche un gran ché. Però si vede che qui di soldi ne circolano a carrettate. Guarda, dove ti giri é tutto recintato col filo spinato. Uhm, strane quelle torrette , vero? Forse sono per il Birdwachting?”. E mentre Bruno, ancora stupito dall’aver azzeccato la direzione giusta al primo tentativo, si accingeva a rispondere, un lacerante suono di sirene interruppe la quiete della notte. Un potente fascio di luce inquadrò i membri del gruppo, accecandoli. Due jeep con la scritta “Aeronautica Militare” stampigliata sulle fiancate arrivarono a forte velocità, inchiodando a pochi centimetri dai piedi di Gigi. Questo divenne paonazzo e gridò: “Ehi, ma siete ubriachi? Vi sembra questo il modo di guidare?”. Non ottenne risposta. In compenso fu fatto mettere a gambe larghe, con le mani incrociate dietro la nuca, contro la recinzione, proprio sotto il cartello “Zona Militare - Limite Invalicabile”. Dopo una lunga notte di interrogatorio, trascorsa rigorosamente senza chiudere occhio, furono rilasciati che era quasi l’alba, con un Foglio di Via Obbligatorio. Mestamente si riavviarono verso il rifugio. Senza dire una parola raccolsero i loro zaini, pagarono il conto e, sempre in silenzio, si diressero verso il loro pulmino. Vi giunsero ovviamente stremati, sotto un sole ovviamente modello equatoriale. E altrettanto ovviamente scoprirono che gli avevano fregato il pulmino. Si avviarono verso valle a piedi, con gli zaini in spalla. Dopo qualche ora di cammino Virgilio ruppe la consegna del silenzio: “Ehi, ragazzi, il prossimo week-end dove andiamo?”. E a questo punto potreste pensare che il finale sia banale: ovviamente fu linciato e lì finì tutto, direte voi. E invece no. Perché é l’andare avanti l’essenza stessa della speleologia. Sempre, nel buio o nel freddo, non importa. Quel che importa é andare avanti, insieme, oltre gli ostacoli. Ecco perché non fu linciato (solamente malmenato) e perché il fine settimana successivo partirono di nuovo (in treno questa volta).