Giovanni Badino

FISICA DEL CLIMA SOTTERRANEO

(UNDERGROUND CLIMATE PHYSICS)

Memorie dell’Istituto Italiano di Speleologia – 1995

 


Versan le vene le fummifere acque
per li vapor che la terra ha nel ventre,
che d’abisso li tira suso in alto;
Dante Alighieri, Rime (C)

 

INTRODUZIONE

Il contenuto

In questo lavoro abbiamo tentato di trattare in modo organico i problemi fisici inerenti la formazione dei microclimi all’interno delle montagne. Un tipo di testo come questo non ha precedenti ed è quindi in massima parte originale. Più in dettaglio, capitolo per capitolo:

1. Trasformazioni dell’aria, secca e umida. Praticamente un capitolo di Fisica Tecnica. L’unica parte originale è la scrittura entalpica finale che include termini normalmente trascurabili nella meteorologia esterna.

2. Struttura dell’atmosfera e sue proprietà. Un capitolo di introduzione alla meteorologia. La parte originale è quella finale in cui si analizzano le trasformazioni che subiscono le particelle d’aria dentro le montagne.

3. Trasporto di fluidi in regime vincolato. In gran parte una trattazione di moto dei fluidi in condotte, limitatamente alle condizioni tipiche degli endoclimi. Vi è, di originale il calcolo delle resistenze delle fessure al moto laminare e, in generale, il fatto di prendere in considerazione le transizioni laminare-turbolento per i moti dei fluidi nelle montagne.

4. Temperature delle grotte. È interamente originale. Poniamo qui in rilievo soprattutto la separazione fra la trattazione della temperatura assoluta e quella del gradiente di temperatura con la quota, parametro che stiamo misurando qua e là da tempo. È un capitolo che si presta ad essere ampliato e migliorato.

5. Generalità sui moti convettivi e barometrici negli endoclimi. Si tratta in sostanza di trattazioni classiche della meteorologia ipogea che qui, però, affrontiamo generalmente da un punto di vista che riteniamo più potente, quello energetico. Oltre a questo approccio vi è di originale l’introduzione di una Endo-atmosfera Standard e i calcoli conseguenti.

6. Energetica dell’interno delle montagne. È totalmente originale. Questo intero testo si è in realtà sviluppato a partire dai tentativi di affrontare le problematiche energetiche delle grotte, proprio quelle trattate in questo Capitolo le cui linee avevamo già abbozzate in una pubblicazione precedente (AUT89). Il risultato maggiore che è che l’energetica del carso profondo maturo è dominata dal flusso d’aria.

7.
Circolazione d’aria nei sistemi complessi, modelli elettrici. Sono interamente originali e sono forse quelli che più si prestano ad impressionare chi legge questo testo (ma chi ha la mente dominata dal principio di conservazione dell’energia sarà maggiormente colpito dal Capitolo 6). Vi si analizzano le circolazioni d’aria nelle cavità a più ingressi e soprattutto si introduce un modellamento elettrico (con resistenze, capacitori e induttanze) che chiarisce i processi di carica e scarica delle cavità e le caratteristiche delle loro oscillazioni. Riteniamo che in un futuro vicino il formalismo presentato permetterà modellamenti a calcolatore, di cui qui presentiamo qualche abbozzo.

8. Condensazioni. Anch’esso completamente originale: è il capitolo che cerca di chiarire la fenomenologia di processi condensativi ed evaporativi globali e locali al fine di chiarire il ruolo del flusso d’aria nella speleogenesi. Vi si tenta di illuminare come il martello (che è l’aria) riesca a battere sullo scalpello (che è l’acqua) per produrre lo scavo carsico. I processi vengono in effetti abbastanza chiariti e ne risulta, ci sembra, una trattazione molto avanzata al confronto coi lavori sinora pubblicati sull’argomento, ma lo riteniamo il capitolo meno soddisfacente di questo testo. Il suo limite principale è il fatto di tentare lo studio dei processi condensativi che avvengono in condizioni stazionarie: il guaio è che non siamo sicuri che essi siano dominanti negli endoclimi e nella speleogenesi condensativa. Le condensazioni in fasi di transizione, cioè con i fluidi interni lontani dall’equilibrio termico, e l’analisi di quella che chiameremo “stato stazionario di non equilibrio termico” fra i fluidi è solo abbozzata. Eppure il ruolo di questo fenomeno è cardinale per la speleogenesi.

9. Applicazioni. È un capitolo di applicazioni pratiche e questioni aperte. Vi si analizza come studiare gli andamenti delle temperature per trovare altre diramazioni, dettagli sulle circolazioni in parallelo, analisi di certe morfologie ipogee. È la parte divulgativa di questo testo, costruita a domande e risposte con ampi riferimenti ai capitoli precedenti proprio per fungere da guida alla lettura di tutto il libro.

La sua lettura è, naturalmente, indipendente dalla lettura dei primi nove capitoli.

Il clima nel sottosuolo

“Ma c’è aria, là sotto?”. Questa è probabilmente la domanda posta con maggiore frequenza a chi si dichiara speleologo.

È ben noto che la risposta è nettamente affermativa. Poco noto, invece, ne è il comportamento fisico, tanto che spesso appare sfidare il buon senso. Eppure essendo l’aria l’unico fluido che riempie uniformemente le montagne, il suo comportamento è di importanza fondamentale e contiene informazioni sulla struttura globale dell’interno della montagna. Soprattutto, poi, crediamo che il ruolo delle correnti d’aria sia decisivo nell’ampliamento dei sistemi carsici vasti. Ecco qui, dunque, un lavoro che cerca di delineare la fisica che ne regola il comportamento.

Un frammento dell’atmosfera

A chi è capitato di stendersi nell’erba di un prato in montagna, in un giorno estivo dal tempo un pò variabile, saranno apparsi innumerevoli fenomeni meteorologici nel cielo. In aria calma non succede quasi nulla, i nuvoloni rimangono appesi all’azzurro, e tutto è stabile. Appena il vento comincia a soffiare, invece, sembra accadere di tutto: nuvole si formano e svaniscono, invadono, ci gettano in ombra, alcune si fermano quasi fossero legate a particolari strutture delle montagne (come, di fatto, sono). Anche all’interno delle montagne l’atmosfera si comporta, invisibilmente, con le stesse regole.

La circolazione dell’aria nelle grotte è un frammento della più generale circolazione dell’aria nell’atmosfera. Le bolle d’aria che migrano in esse, producendo venti terribili che raggelano gli speleologi nei meandri, sono le stesse che sostengono gli alianti, che pilotano i temporali e gli uragani: stessa l’aria, stessa la fisica, stesso il fenomeno di base. Differiscono per il fatto che le une sono vincolate fra pareti e le altre no.

Ma dominano le somiglianze: così come avviene all’esterno il moto dell’aria nelle grotte accende un’esplosione di fenomeni che solo ora cominciano a mostrare i loro aspetti fondamentali.

Le nuvole ipogee non si vedono, è vero, ma si vedono le condensazioni, il brillio delle pareti umide. Sono queste la controparte delle nuvole in regime vincolato e sono probabilmente esse che guidano gli ampliamenti dei regni sotterranei.

Fondamenti del lavoro

Lo scopo di questo scritto è proprio quello di intrufolarsi in questa fisica, abbozzandone le linee generali.

Questo lavoro si appoggia su molte osservazioni ma su poche misure. Ma la nostra ambizione è proprio quella di dare, basandosi su modelli teorici suggeriti sulle prime, una base di riferimento concettuale per fare le seconde. Spesso infatti (ma soprattutto in rami della ricerca non ben esplorati, come la climatologia ipogea), ci si trova di fronte a masse di misure prese per sè stesse e non finalizzate a capire l’aderenza di modelli teorici alla realtà. Si relega così la misura ad un ruolo descrittivo e non ci si inoltra, per l’assenza di base concettuale, sul suo più profondo aspetto scientifico che è quello di ricercare conferme o smentite di qualche modello interpretativo.

Da molti anni, frammentariamente, portiamo avanti questo lavoro (l’applicazione del modellino elettrico alle grotte, mai pubblicata, è del ’75!) e poi l’abbiamo steso in forma di dispense per il corso SSI di Meteorologia ipogea ed esplorazione, spingendolo poi avanti moltissimo sino a formare questo testo, che pure è ancora insoddisfacente…

Chi lo leggerà si stupirà nel vedere che i riferimenti a lavori precedenti di climatologia sotterranea siano così pochi. Il motivo è che sull’argomento è stato scritto parecchio di descrittivo ma poco di modellamento termodinamico.

Il punto di vista

È un testo difficile, sia a causa della mole dei calcoli, sia per il punto di vista che lo domina, quello tipicamente da fisico di base di approccio “globale” ai problemi che, grosso modo, potremmo definire di “modellamento d’insieme”. Quest’ultimo a modellatori fisici (e soprattutto astrofisici) apparirà abbastanza ovvio, ma bisogna ricordare che non lo è stato affatto per tutti i secoli passati, eccetto gli ultimi due.

A causa di questo al lettore non preparato e attento capiterà di trovarsi di fronte ad una affermazione apparentemente facile, che troverà banale, ma la cui conseguenza matematica potrà essere incomprensibile. Questo non accadrà per la matematica che opera la deduzione, sempre ovvia, ma per il fatto che la frase iniziale, apparentemente banale, era molto più sfaccettata e vasta di quanto si pensava.

Abbiamo già dato un esempio di questo quando, qualche riga sopra, abbiamo scritto che la circolazione dell’aria nelle montagne è un frammento di quella atmosferica. L’asserzione appare banale ma ciò che ne discende è immenso, difficile da trattare, illuminante: ne deriva che sottoterra ci sono le nuvole, i temporali, il favonio, i deserti, e da tutti questi fenomeni, ma soprattutto dalle formazioni nuvolose, discende l’ampliamento endoclimatico del fenomeno carsico.

La matematica

Sta di fatto, però che qui c’è della matematica; alcuni la troveranno una mazzata tremenda, altri salteranno tutte le parti di conti, e forse è ragionevole fare così.

Ma la realtà è che nella meteorologia (non solo ipogea) appena si esce dall’ovvio si entra nell’assurdamente complesso. Crediamo sia per questo che i lavori sinora pubblicati sono in genere dotati di alcune caratteristiche comuni:

 

  • molti dati senza modelli interpretativi
  • grosse chiacchierate su come forse funzionano le cose,
  • amore per la meteorologia delle grotte molto piccole
  • amore per gli endoclimi molto particolari.


In sostanza i più fra quelli che si sono sinora occupati di climatologia ipogea hanno ignorato il funzionamento, peculiare, dei grandi sistemi, soprattutto alpini. E soprattutto, resi forse timorosi dagli aumenti rapidissimi della complessità dei calcoli, non vi si sono inoltrati se non in casi ovvi.

Orientamenti e impressioni

Per questo e per la nostra estrazione speleologica questo lavoro è orientato essenzialmente verso i grandi sistemi alpini, che crediamo proprio che siano i casi più interessanti.

Per questo e per la nostra estrazione fisica abbiamo fatto i conti con tecniche di modellamento d’insieme, che risulteranno un pò sconcertanti con chi non ha mai visto astrofisici all’opera.

L’impressione che abbiamo tratto occupandoci di questi problemi è che siano quelli speleo-geneticamente fondamentali: che cioè siano alla base della maturazione delle grotte maggiori.

Ma crediamo che i processi di corrosione microclimatica qui descritti abbiano anche effetti all’esterno. Riteniamo sia soprattutto a causa di questi processi, infatti, che nei calcari possono maturare rapidamente le gole. Ipotizziamo, infatti, che non appena la struttura di una valletta viene ad essere sufficientemente chiusa perchè si innesti un microclima umido, simile a quello delle grotte, il processo di dissoluzione aumenti vertiginosamente amplificando il microclima e approfondendo la valletta in una struttura a forra. Crediamo pure che, probabilmente, buona parte dell’approccio nelle pagine che seguono possa essere riportato per studiare la circolazione nei reticoli sommersi; e che forse, anche in quei regni freatici da cui è esclusa l’aria, i punti di vista energetici che descriveremo siano estremamente utili. Certo lo sono (ed è scoperta di pochi mesi fa) nel caso del più semplice carsismo ipoglaciale.

Ma è un lavoro di ricerca interrotto e stampato a metà dell’opera, e dunque ben aperto a discussioni e sviluppi. Saremo dunque assai grati a chi ci vorrà dare suggerimenti e segnalare qualcuno degli errori che ci sarà inevitabilmente sfuggito.


10. Il capitolo delle domande

Questo capitolo è la parte divulgativa del testo, la cui complessità è purtroppo risultata irriducibile, ad onta di alcuni disperati tentativi.

Ad ogni domanda corrispondono una o più sezioni, indicate, in cui l’argomento è trattato con rigore: non ci si basi, dunque, sulla risposta, necessariamente schematica. Spesso ci siamo rassegnati ad essere addirittura imprecisi basandoci sul fatto che la risposta vera è data nei rimandi.

Le risposte, insomma, sono intese come un orientamento alla lettura delle sezioni, delle sintesi dei problemi analizzato in esse. Speriamo siano un invito alla paziente lettura (per alcuni: la decrittazione…) di quanto analizzato nei precedenti capitoli.

Indice del Capitolo 10

10.1 Cosa condiziona la circolazione d’aria in una montagna?
10.2 Cosa si può dedurre dall’analisi delle correnti d’aria?
10.3 In quali situazioni bisogna fare le osservazioni delle correnti d’aria?
10.4 È importante una strettoia che soffia?
10.5 È importante una strettoia che non soffia?
10.6 Esiste sempre una quota intermedia fra le entrate meteobasse e meteoalte?
10.7 Quando accade che una grotta non soffi?
10.8 C’è un buco da disostruire, ma non tira aria. Ci lavoriamo?
10.9 C’è un buco da disostruire, ma ha aria “sbagliata”. Ci lavoriamo?
10.10 Perchè ci sono grotte con forti oscillazioni dell’aria?
10.11 Ci sono inversioni del flusso dell’aria che non indicano diffluenze?
10.12 Come varia il flusso d’aria allargando una strettoia?
10.13 Cosa può accadere allargando una strettoia ventilata?
10.14 Cosa si può dedurre ostruendo l’entrata di una grotta?
10.15 Esistono entrate di grotta che soffiano sempre?
10.16 Esistono entrate di grotta che aspirano sempre?
10.17 Perchè certe grotte in cima a montagne si comportano da entrate basse?
10.18 Posso misurare la profondità di una grotta con un altimetro?
10.19 Ha senso misurare la profondità di un pozzo con un altimetro?
10.20 Quand’è che le misure altimetriche sono più affidabili di quelle topografiche?
10.21 In una grotta si possono incontrare piccoli sbalzi di temperatura?
10.22 Cosa possiamo dedurre misurando la temperatura dell’aria in uscita dal monte?
10.23 Perchè l’aria di grotta è più calda dell’acqua?
10.24 Perchè a meandri piccoli spesso seguono pozzi grandi?
10.25 Perchè in grotta le strettoie sono rare?
10.26 Cosa deduciamo dalle condensazioni?
10.27 Cosa conviene misurare in grotta?