UTECNARNI

Cerca

Vai ai contenuti

Pipistrelli da amare

Racconti

Salvare i mangia zanzare

Articolo apparso su Tutto Scienze-La stampa del 17 ottobre 2001

Scritto da Caterina Gromis di Trana

Ogni atlante di zoologia tra i mammiferi illustra le 31 specie di pipistrelli che volano nei crepuscoli d’Europa. Per avere un commento sincero alle immagini bisogna mostrarle a un bambino digiuno di sapere scientifico, libero di dare sfogo al pensiero istintivo. “C’è di meglio” dice il ragazzino guardando le figure di chirotteri a testa in giù ordinate sulla pagina, ad ali chiuse, con in primo piano il profilo del muso. Ha ragione: l’occhio spontaneo tralascia l’acculturato perbenismo scientifico, e allora i pipistrelli appaiono proprio brutti. Bisogna tener conto della loro bruttezza nella lotta per la conservazione di questi animali, perché c’è poco da fare: è facile convincere chiunque a proteggere le rondini, ma non è facile far volere bene ai pipistrelli: devono farsi perdonare i musi rincagnati, l’aspetto dei topi volanti, le orecchie a sventola, gli sguardi porcini e quelle ali membranose che sembrano scialletti funebri.
Ma per conquistare la giusta benevolenza verso i mostriciattoli che spiccano il volo all’ora dei vespri qualcosa in effetti c’è: sono le zanzare, tortura dell’estate. Altro che candele alla citronella, zampironi e bombolette: basterebbero i pipistrelli, se fossero tanti, frotte silenziose a fendere le tenebre e a fare giustizia di insetti notturni, dannosi e invisibili agli occhi dei più.
Qualcuno che non bada all’estetica esiste ed è pronto ad accogliere e a proteggere i paladini della notte: addirittura c’è chi tanto li desidera attorno che vorrebbe comprarne qualche coppia in un impossibile mercato. Non c’è commercio di questi mammiferi volanti, molto legati al loro territorio. Si sono fatti esperimenti su pipistrelli presi, inanellati e rilasciati. Tornavano, dotati di straordinarie capacità di orientamento, da dove erano venuti, percorrendo distanze anche di un centinaio di chilometri. Meglio allora trovare altre maniere: nei luoghi di pasto abbondante, dove l’agricoltura non richiede massiccio uso di pesticidi nefasti, i pipistrelli ci sono. Si vedono solo quelli che cacciano alla luce dei lampioni e gli altri si nascondono così bene che sembrano pochi. Tanti di certo non sono, ma per dirlo di sicuro bisognerebbe andare in giro con un bat detector, strumento efficace nel rilevare i suoni ad alta frequenza e nel fornire indicazioni sulla presenza di singoli individui.
Tutti i pipistrelli sono dotati di un apparato che permette loro di diffondere ultrasuoni, che producono attraverso le narici o le corde vocali, secondo la famiglia a cui appartengono. Così si spiega il naso mostruoso dei Rinolofidi, che non è stato affibbiato loro dalla natura per dispetto: una membrana cartilaginea situata attorno alle narici serve sia ad emettere gli ultrasuoni sia a ricevere le onde sonore di ritorno. E hanno un significato anche le orecchie, che certe volte sembrano grottesche e spropositate ma che, grazie ad una membrana detta “trago”, specializzata nella ricezione di onde sonore ad alta frequenza, permettono di schivare gli ostacoli e i predatori, e di costruirsi nel cervello una memoria acustica, e quindi una mappa sonora dell’ambiente: così viene individuato e zittito con un rapido guizzo anche il ronzio quasi impercettibile di uno zanzarino.
Vale la pena di aiutare questi malfamati innocenti: è universalmente accettato che i pipstrelli sono tra le poche specie che meglio indicano qualsiasi declino ecologico dell’ambiente, grazie alla loro rapida reazione demografica ai cambiamenti degli ecosistemi. Bisogna conoscere abitudini e preferenze e rendere i loro luoghi accoglienti: se non ci sono vecchi solai, tronchi cavi, case abbandonate, grotte e caverne, si può provare con le cassette nido. Sono fatte in cemento e segatura, e se riescono a sostituire i rifugi perduti per colpa dei tempi moderni di finestre sbarrate, abbaini inviolabili e sottotetti impenetrabili, possono segnare un successo e collaborare a rendere abbondante l’insetticida naturale migliore che c’è: da un piccolo gruppo potrebbe forse formarsi una ricca colonia.
Esistono, tra gli appassionati di animali, i cultori della fauna ipogea: sono persone che studiano e proteggono il mondo delle tenebre, aggirandosi come spettri per grotte e caverne e che insegnano anche agli altri , comuni uomini diurni, ad apprezzarne i misteri. Per amore dei pipistrelli si sono riuniti per la prima volta nel 1998 a Castell’Azzara, piccolo paese inerpicato a sud dell’Amiata, al margine di una zona d’Italia piena di storia, arte e turismo. Il luogo è famoso per una grotta, e li si è dato appuntamento un folto gruppo di gente di cultura, speleologi e zoologi arrivati da diversi paesi dell’Europa, per rendersi contol’un l’altro delle loro personali ricerche, scambiandosi notizie e formulando programmi futuri. In Italia ci sono 31 specie di pipistrelli, e 9 di queste vivono insieme nella grotta di Castell’Azzara, usando in modo diversificato i suoi microambienti. Il convegno del 1998 è stato il primo e per ora l’unico in Italia: 24 sono risultate le specie di pipistrelli per il Piemonte, due delle quali, Myotis myotis e Myotis blyti, formano la più grande colonia nota nell’Italia nord-occidentale, tra le mura dell’Abbazia di Staffarda. E’ tempo che gli specialisti si riuniscano di nuovo e che portino alla luce i risultati delle più recenti ricerche: forse sono incoraggianti, e nuove colonie di uccelli dalle ali di pelle, come li chiamava Aristotele, stanno crescendo discrete eprosperose: la loro compagnia numerosa al crepuscolo allontanerebbe l’idea del nostro pianeta invaso dai pesticidi e da altri peggiori veleni.


Torna ai contenuti | Torna al menu