Dalla Rocca Albornoz a Ponte Cardona

La Ferriera di Stifone

La Grotta dell’Eremita

Il Monastero di San Giovanni

Questa ricerca di documenti, luoghi, toponimi e situazioni storiche parte dalla voglia innata dell’uomo, dell’esploratore, di cercare nel proprio passato per avere raffronti e certezze nel presente.minierestifone
Ho iniziato con leggere gli appunti dell’UTEC tratti da Cronistoria Narnese del Martinori che li aveva sicuramente presi dalle cronache del Terrenzi, in cui era evidenziata la presenza di miniere sul Monte Santa Croce, e dalla descrizione non era ben chiara, e forse non lo è neanche nel momento in cui scrivo, la conoscenza di tutte le miniere citate dal Terrenzi. Le successive ricerche ci hanno portato in biblioteca, ma anche di nuovo a Monte Santa Croce, e poi più lontano sui Monti del Leone, tra Polino, Ferentillo, Bonacquisto, Labbro e Monteleone, facendoci scoprire una umanità laboriosa e un viavai di genti tra sentieri ormai abbandonati, dimenticati. Così facendo, acquistano nuova luce i vari casottini, i ruderi, le fornaci, le carbonare che si incontrano quasi ovunque nei nostri boschi, ma andiamo con ordine…

 

Tabella delle conversioni

Canna Romana

2,234 mt.

Passo Romano

1,49 mt.

Braccio

60 cm. circa

Piede

30/50 cm. valori variabili

Palmo

25 cm. circa

Miglio

1490 mt.

 

Sommario:

Presentazione del Terrenzi

Prima del 1703

Terremoto del 1703

1710-Costruzione della Ferriera

1721-Inaugurazione

1760-La ferriera in rovina

1760-La relazione del Pennini

1760-Le cave di Monte S. Croce

1760-L’acqua per la forza motrice

1761-La nuova Società

1784-Abbandono della Ferriera

1890-La Fabbrica di potassa

1893-Conversione a Centrale Idroelettrica

2011-III giornata Nazionale delle Miniere

La Cronaca del Terrenzi

La presentazione del Terrenzi del suo articolo sulle miniere di Stifone

Il desiderio vivissimo di portare un poco di luce sopra l’importante argomento di una industria paesana mi ha spinto a fare delle ricerche che pubblico, quantunque scarse ed incomplete, nella speranza che possano riuscire utili non solo per la storia delle ferriere dell’ex stato pontificio, ma ancora per colui che in tempi più o meno lontani vorrà esplorare con metodi razionali e scientifici le nostre cave di ferro, allo scopo di riattivarne l’industria, come ebbe in animo, senza per altro porvi mano, la società romana delle miniere di ferro.
Poiché io penso che se oggi sarebbe follia ritentare siffatta impresa, ciò sarà possibile quando i progressi delle scienze applicate all’industria, perfezionando e semplificando i metodi metallurgici, avranno anche in pari tempo risoluto il gravissimo problema del combustibile. Alleggeriti da un enorme peso, ne più schiavi, come al presente, dell’estero, noi potremo sostenere vittoriosamente la lotta di concorrenza; ed allora molte fra le antiche ed abbandonate industrie torneranno a fiorire, e, sebbene modeste, non mancheranno di portare il loro contributo al grande edificio della ricchezza nazionale.

Giuseppe Terrenzi.

(La ferriera di Stifone e i minerali di ferro trovate sulle montagne di Narni, dal Bollettino del Naturalista Collettore Allevatore Coltivatore, supplemento mensile alla Rivista Italiana di Scienze Naturali del 15 Ottobre 1895).

 

1709/1900 Ricerche sulle cave di ferro e lo sfruttamento delle sorgenti di Stifone
di Giuseppe Terrenzi, note di Scatolini Andrea, tratte da documenti di Breislach e altri.

 

Questo documento si promette di ripercorrere e ricostruire le vicende che portarono all’edificazione di ferriere e all’apertura di miniere nella zona attorno al monte Santa Croce, al problema della forza motrice per i macchinari e alla trasformazione delle dighe in impianti elettrici.
Nel 1577 il Papa Gregorio tredicesimo aveva fatto un appalto a favore della R. Camera Apostolica delle miniere di ferro che si rinvengono nel territorio di Spoleto, le quali sono anche ricordate in alcuni documenti spoletini del secolo XVIII.
Riandando la storia delle nostre industrie minerarie, vediamo come non manchino memorie a stampa sulle cave di Monte Leone, a questo proposito esisteva una lavoro del Breislak dal titolo “Relazione sulle miniere di ferro di Monte Leone e Ferriere di Terni”. Roma anno IV Repubblica (1799) Tipografia Poggioli. L’opuscolo è molto raro e ci spiega pel fatto che Breislak parlando con Pio VI lo chiama un despota irruente e capriccioso: linguaggio al certo poco convenevole ad un padre scolopio, e che avrà procurato la caccia nel libro appena restaurato il pontefice nei suoi domini. A pagina 14 della citata relazione si accenna alle grandi ferrate esistenti in Vaticano, fatte col ferro estratto ex fondinis Montis Leonis.
Nel 1640, il pontefice Urbano VIII fece riattivare le miniere di Monte Leone. Però nulla o quasi nulla sappiamo di quelle di Narni, se si eccettuano i brevissimi e fugaci cenni che ne danno il Calmieri, il Giordano, Vescovali Angelo , “sui minerali di ferro dello Stato Pontificio”. (Giorn. Accademico di Roma, tomo CLIV) Roma, tipografia Aiani, 1858 ed altri storici.
Difatti nessuno tra noi, ricorda più le cave di ferro dalle quali veniva estratto il minerale che serviva, nel secolo passato (1700), ad alimentare la ferriera di Stifone (Narni) ne sa in quale posto questa sorgesse.
In una lettera scritta nel 1709 dai priori di Narni al Cardinale Sacripante, sono ricordate le nostre cave di ferro. La lettera insieme ad altri documenti di storia narnese, fu pubblicata nel 1720 dal Bocciarelli pei tipi degli eredi Corbelletti di Narni.
In realta’ siamo tornati in possesso dell’opera del Breislak, grazie ad una stampa anastatica fatta dall’ICSIM nel 2000, e con una lettura molto rapida possiamo confrontare la situazione di Monteleone con le Ferriere di Stifone. La situazione storico-politica, il territorio, l’aspra lotta con la montagna e con le forze della natura, ben illustrano le condizioni di lavoro di quei tempi. La pubblicazione era molto rara da trovare, anche perché Breislak non parla male solo del Papa, ma soprattutto delle alte cariche dello Stato Pontificio, evidenziando già il problema della corruzione e della malagestione della cosa pubblica.
Nelle nostre ricerche non siamo riusciti a trovare nessuno di questi autori, ne abbiamo trovato la lettera pubblicata nel 1720 da Bocciarelli, quindi prenderemo la descrizione di Terrenzi come un dato di fatto, accettando che già da prima del 1700 esistessero delle cave di ferro sul Monte Santa Croce, anzi, con un po’ di audacia potremmo pensare che le miniere di Narni fossero inserite nel piano di riattivazione delle miniere da parte dello Stato Pontificio del 1640. Questa affermazione trova conferma proprio nel trattato di Breislak, il quale asserisce che nel 1580 un gruppo di imprenditori lombardi chiesero e ottennero dal Comune di Terni di poter erigere un Opificio a Terni per il depuramento e la lavorazione del ferro, non si sa se fu eretta la ferriera, ne esistono documenti che attestino dove prelevasse il minerale, ma questo interessamento lombardo la dice lungo sulla presenza di miniere nelle nostre zone, e la scelta di Terni, che a quell’epoca era una città molto piccola, potrebbe essere giustificata solo dal fatto di essere a metà strada tra le miniere di Monteleone e quelle di Stifone. Il Breisak continua, raccontando che verso i primi del Seicento, lo Stato Pontificio cercò di creare una industria metallurgica autosufficiente, ossia alimentata dal minerale estratto entro i confini nazionali, secondo le cronache nel 1629 a Monteleone, lungo le acque del fiume Corno si attendeva a lavorare il ferro. A quell’epoca il ferro veniva estratto principalmente nelle valli alpine e all’Isola d’Elba, dove non mancavano le risorse naturali necessarie, cioè acqua e legna con cui fare il carbone.

 

Terremoto del 1703

 

Il tratto degli appennini che attraversa la nostra provincia è costituito per la massima parte da formazioni liassiche e oolitiche, talvolta ricche di giacimenti di ferro, ed è per questo che nella nostra Umbria, date alcune speciali condizioni geologiche, non mancano masse minerali che, o in forma di estesi depositi sedimentari o in filoni, vanno a costituire le nostre miniere ferrifere. E di questo non mancò, nei tempi andati, di trarre profitto il governo pontificio. Difatti, come abbiamo accennato, attivata la cava di Monte Leone sulla sponda sinistra del fiume Corno, per ordine di Urbano VIII veniva nel 1641 costruito un forno fusorio.
Nel 1703 un forte terremoto colpì la Valnerina prima e la zona dell’Aquilano poi; gli effetti dei due eventi sismici si sommarono, se è vero che secondo le cronache del tempo ci furono diecimila morti, cosicché le miniere di Monteleone furono praticamente abbandonate per la distruzione degli impianti, delle strade e degli edifici; Marginalmente anche Narni comunque fu interessato da quel fortissimo terremoto, sembra infatti che trenta anni dopo ancora le strade erano ingombre delle macerie di quel terremoto.

 

1710-Costruzione della Ferriera

 

Sui primordi del secolo XVIII quel governo faceva ispezionare i monti di Narni, ed, assicurato dell’esistenza del minerale di ferro sulle montagne di S. Antonino, S. Vincenzo, S. Croce, ordinava alla R. Camera Apostolica di coltivare le dette miniere e di fabbricare a Stifone una ferriera.
In un antico manoscritto di storia narnese, posseduto dal Cav. Stame Raffaele si trova la seguente notizia, che riguarda l’imposizione della prima pietra dell’edificio della ferriera:

Hac die quindicesima Aprilis 1710 prope villam Stifonis impositus fuit primis lapis aedificii ad usum fundendi et extendendi ferrum, quod a fodinis viciniorum montium copiose excavatur.
Faccio rilevare le parole copiose
excavatur.

La ferriera fu fabbricata sul luogo ove ora trovasi un molino.
Noto che sul principio volevasi erigerla nelle vicinanze di Narni, presso il Ponte di Augusto, servendosi dell’acqua del fiume Nera, ma dopo sana riflessione fu scelto Stifone, da cui monte sgorgano in copia acque minerali che vennero utilizzate a tale scopo.

(Discorsi inediti sulla Storia di Narni di Bartolomeo Marsigliani, cittadino narnese vissuto nel secolo passato posseduti dal M. G. Eroli.)

La fabbrica si componeva di due grandi edifici, denominati la grande e la piccola ferriera. Nella grande ferriera costituita da un vasto camerone, vi erano gli stendini, le incudini, i cui magli si muovevano a forza di acqua. Nella piccola ferriera, vi erano altri stendini, la fucina, le incudini di ferro. Tra le due ferriere era situato il forno del ferraccio.
Lo scavo e la coltivazione delle miniere in età medioevale, fino al 1700, è effettuato praticamente a mano, seguendo la vena di minerale all’interno della montagna. Per lo scavo veniva spesso utilizzato un punteruolo e un martello, un piccone a penna battente o una mazza e una zappa, almeno fino al 1640, quando per la prima volta in Italia fu utilizzata la polvere nera presso Agordo.

Allo stato attuale della ricerca, non sappiamo ancora quale sia il molino del Signor Cotogni, ma probabilmente la prima ferriera fu costruita subito appresso l’abitato di Stifone. E’ importante notare che a Stifone viene costruito un impianto autosufficiente, in grado cioè di presiedere a tutte le fasi della lavorazione del ferro. A quell’epoca tutto il processo di estrazione e di trasformazione del minerale in ferro vero e proprio era molto lungo; Al minerale estratto veniva prima fatta l’abbrustolitura, cioe’ un trattamento sopra le cataste di legna accese, in modo da separare terra e altre impurità grossolane, e l’operazione veniva eseguita nei pressi della miniera, quindi sopra Monte Santa Croce, e qui iniziamo a capire cosa rappresentano i resti di piccole case sopra la montagna, mentre non è mai stato effettuato uno studio accurato per identificare discariche di materiale inerte risultante dagli scavi delle gallerie. Non sappiamo se sul Monte Santa Croce venisse fatta anche la “lavanda”, cioe’ la pulizia con getti d’acqua, praticamente assente nella parte alta della montagna; Probabilmente il materiale dopo la frantumazione, portata a termine sovente da donne e bambini, veniva trasportato a valle con slittoni, oppure in ceste di vimini o di legno, o borse di cuoio, o con carriole oppure a dorso di mulo; Non sappiamo se a Monte Santa Croce fosse usata anche la teleferica, sicuramente impiegata invece per scendere dai monti verso la Valnerina, dove gli impianti erano ancora visibili fino a poco tempo fa nei pressi di un grosso traliccio dell’Enel sopra il cimitero di Ferentillo.
La lavanda veniva eseguita con getti di acqua fredda, e la prima fusione veniva effettuata nel forno a carbone.

 

1721-Inaugurazione

 

Gli impianti furono inaugurati con gran pompa il 21 di Ottobre 1721, ed in quel giorno fu fatta la prima fusione del minerale di ferro tolto dalle nostre cave. Tale importante notizia troviamo notata a pag. 182-183 del citato manoscritto Stame, con le seguenti parole:

21 Octobris 1721. Espleto furno in rure Stifonis pro Rev. Camera Apostolica ordinato ad effectum fundendi ferrum ex fodinis territorii narniensis desuntum, hac die in nomine Domini ac previa dicti furni benedictione capta fuit fusio ferri laminis, plurimis de civitate praesentibus, quo opus sit ad maiorem rerum Camerae Apostolicae utilitatem, dictae civitatis narniensis beneficium ac incrementium.

Vane speranze!!
La reverenda Camera Apostolica di fronte alle enormi spese incontrate per i lunghi e dispendiosi cunicoli fatti allo scopo di rintracciare la vena di ferro, per la fabbrica degli edificii e per i relativi ordigni di lavorazione, restò pur troppo delusa nella sua aspettazione e, poco dopo, fu costretta, mancandole anche la quantità sufficiente di acqua per fare agire le due ferriere, ad abbandonare l’impresa della escavazione e della lavorazione del nominato minerale.
Trascorsero quindi 39 anni di completo abbandono, durante il quale tempo le cave rimasero sepolte nelle loro stesse ruine, e gli edifici, dall’edacità del tempo, resi quasi cadenti, furono poi in parte demoliti da quei terrazzani.
Ma nel 1760, la Reverenda Camera Apostolica, adescata dalle parole di un certo Giacomo Strufaldi, il quale non solo si faceva esperto nell’arte mineraria, ma asseriva ancora di aver denari sufficienti per poter fare le spese necessarie, allo scopo di rinvenire il tronco copioso di detto minerale e di restaurare gli edifici.
Successivamente, il ferraccio ricavato veniva di nuovo fuso e portato nella ferriera vera e propria, dove passava attraverso i magli e i rotoni mossi dalla forza idraulica. La stessa forza idraulica faceva muovere anche delle grosse pale, chiamate trombe eoliche, che spingevano l’aria nel forno, sostituendo l’uso dei mantici, aumentando la temperatura della combustione. Questo era il procedimento per la produzione di ferro secondo il metodo bresciano impiegato sia a Narni che a Monteleone e nelle ferriere della Valnerina; La ghisa veniva utilizzata per la produzione di palle di cannone, oppure lavorata per ricavarne attrezzi.

E’ difficile ipotizzare a quanto ammontassero le spese, ma nel conto doveva essere incluso il denaro per la costruzione dei canali per l’acqua, dei ponti sul fiume, di baracche e alloggi per i minatori, per le ferriere, il forno fusorio, i magli, i distendini, il trasporto dalla miniera al forno, il consumo di sacchi, olio, zoccoli e zinali che si devono dare ai cavatori, pale, stigli, caldaie di rame per cucinare, la paga degli operai del forno, il taglio della legna, la soma, la cottura, l’uso dell’acqua del mulino…

 

1760-La ferriera in rovina

 

20/8/1760

Con in strumento del 20 Agosto 1760 la camera apostolica concesse al detto Strufaldi e a Francesco Marchi, l’affitto delle miniere di ferro del territorio di Narni, unitamente agli opifici o ferriere di Stifone. La concessione fu per anni 9, con l’obbligo di ridurre tutti gli opifici e di scoprire le vicine case a tutte loro spese andanti e lavoranti.
Stipulato l’istrumento, la Reverenda Camera Apostolica, prima peraltro di addivenire alla regolare consegna delle cave e degli edifici, giudicando necessario di verificare lo stato in cui si trovavano le une e gli altri, incaricò il proprio architetto Giuseppe Pennini di recarsi a fare un’accurata ispezione e riferimento in proposito.
Questi difatti, recatosi a Stifone, non mancò, come vedremo in appresso, di verificare ogni cosa, e mentre stimò probabile la reperizione di una vena fertile e perenne del ferro, fece d’altra parte rilevare le considerevoli spese, necessarie per la riapertura delle cave abbandonate e sepolte nelle loro stesse ruine, e per la restaurazione degli edifici cadenti e devastati.

 

1760-La relazione del Pennini

 

Essendomi portato personalmente il 18 Ottobre 1760 alla villa di Stifone passato il ponte sopra il fiume Nera, m’incamminai su per la montagna di S. Antonino e, dopo il tratto di circa un miglio e mezzo, ritrovai nella falda a mano dritta laterale alla strada che porta a Montoro (nel sito detto il fosso della Madonna dei Monti) un buco formato nelli massi di pietra, alto e largo 7 palmi. Entratovi e fattovi accedere i lumi ritrovai una cava formata tra li massi di pietra informi, che s’interna nella detta montagna in linea retta ed in piano per la lunghezza di 450 palmi.
Osservando per tutta questa estensione, ho trovato qualche radice di vena di buona qualità di ferro, in altezza di un’oncia, che va serpeggiando per la lunghezza di otto palmi e poi si nasconde….

Questa è la descrizione perfetta della miniera di ferro ancora visibile e accessibile proprio in prossimità dell’attuale Fosso di Fondo dei Frati, e questo probabilmente è proprio uno dei cunicoli costosissimi realizzati in passato, ma che per scarso rendimento fu abbandonato. Prima dell’uso degli esplosivi infatti non esisteva una vera e propria arte mineraria, infatti la miniera veniva scavata seguendo semplicemente le vene di ferro, con grande dispendio di energia e poca parte di montagna effettivamente sfruttata.

 

1760-Le cave di Monte S. Croce

 

…Proseguendo il viaggio e salendo su per la montagna, dopo circa un mezzo miglio, trovai un’apertura, ed entratovi dentro osservai tre bracci di cave formate in piano. Internatomi nella prima, lunga 40 piedi, vi trovai, da tutte le parti, continuati rami della vena di ferro di buona qualità, dove più, dove meno, dell’altezza di mezzo palmo. Le altre due cave erano dilamate e ruinose. Osservai però anche in questo li medesimi rami della stessa altezza di mezzo palmo.
Seguitando il viaggio, dopo mezzo miglio di strada, giunsi alla Cava di S. Vincenzo, dove si conosceva essere stata ritrovata e cavata della vena di ferro, ma questa non potei in maniera alcuna visitare, perché la ritrovai riempita e dilamata.
Giunto poi in cima alla detta montagna, trovai una pianura denominata Campolongo, nel cui piano osservai esservi l’effigie e concavi di diverse cave già aperte, ma ora tutte chiuse e dilamate. Intorno ad esse, si vedono molti pezzi di vena di ferro, ivi rimasti, di buona qualità.
Salendo all’ultima superiore montagna detta di Santa Croce, dopo due miglia di strada trovai altra cava aperta detta Cava di Zara, e fattovi calare quattro uomini, questi trovarono in fondo dei rami di vena di ferro, dell’altezza di un palmo, ma di qualità un poco inferiore delle altre cave.
Si nota di avere osservato che vicino a ciascuna delle sopra notate cave di ferro esistono ancora delle fornaci, fatte per cuocere la prima volta subito cavata la vena del ferro, ad effetto di poterla cavare e stritolare, per poi crivellarla e dividerla dalla terra, e , così purgata, condurla agli edifici per squagliarla dentro il forno e formare il ferraccio.
Nelle varie escursioni da me fatte sulle nominate montagne, mai mi è accaduto di poter penetrare entro le cave, ed osservare in posto la così detta vena di ferro, perché il tempo e la noncuranza degli uomini ne avevano procurato il completo riempimento. Però ho potuto estrarre dalle ruine parecchi campioni del detto minerale, rappresentato da una limonite pisolitica, la quale come si sa è uno dei migliori minerali di ferro, potendo fornire, dopo appositi lavaggi, fatti allo scopo di liberarlo dalle sostanze terrose, dal 33 al 40 per cento di metallo. Il ferro che ne risulta. Detto fero forte, è di buonissima qualità: Il minerale è di colore bruno rossastro o giallastro, con scalfittura gialla e presenta moltissima analogia con quello di Monteleone, il quale, che ne dice il Breislack nella citata relazione, dava un fruttato del 40 per cento….

La cronaca diventa molto più approssimativa, conosciamo pochissime miniere nel Monte Santa Croce: due all’interno del Fosso del Fondo dei Frati, anche quelle sono artificiali, ma molto piccole, e il rilievo può rassomigliare alle tre braccia di gallerie, anche perché la zona è identificata nelle planimetrie 1:25:000 come La Cava. Poi molto piu’ in alto troviamo la Grotta Celeste e la Grotta dei Veli; entrambi rivelano segni di scavo, e nel loro interno anni fa trovammo un caschetto da minatore e una male e peggio, e forse le due doline furono adibite a cave, corrispondendo in parte alle due cave dilamate, infatti si aprono in una zona semipianeggiante, di cui ormai il toponimo Campolongo è praticamente scomparso.
A questo punto la grotta dello Svizzero è sicuramente identificata con la Cava di Zara, anche perché i quattro uomini che si sono fatti calare all’interno hanno avuto parecchio da cercare, vista l’estensione della cavità. Al confronto con le nostre conoscenze manca la Cava di San Vincenzo, che forse è una piccola cavità in leggera pendenza che si apre vicino a dove alcuni anni fa andammo a scavare attratti da un buco da cui soffiava aria calda.

 

1760-L’acqua per la forza motrice

 

L’architetto Pennini studiò anche il problema della forza motrice da utilizzare per le ferriere di Stifone visitando, lungo il Nera, le varie sorgenti di acque minerali, ed additando quella che poteva essere utilizzata a totale beneficio della ferriera. Egli infatti così termina la sua relazione:

“..Si nota di aver visitato, il 24 ottobre 1760, e riconosciuta una considerevole sorgente di acqua perenne, che fa capo e sbocca a pelo dell’acqua del fiume Nera, e resta in fondo alla montagna di Stifone, distante circa 60 canne di sotto i descritti edificii della ferriera, qual vena abbondantissima, quando venissero fatte le necessarie esperienze e livellazioni, ed assicurati di poterla fare alzare di corpo per mezzo di un muraglione verso fiume che gli facesse argine e chiusa, e portata ed alzata superiormente al piano della forma che presentemente porta l’acqua agli ordigni degli edificii, sarebbe di considerevolissimo vantaggio, tanto per l’accrescimento della quantità di acqua, quanto per aumentare il numero degli stendini ed ordigni per uso della ferriera, come ancora per scemare la spesa della contribuzione che si deve pagare alle due mole che prendono la medesima acqua, la quale serve per gli edifici della ferriera, tanto che, quando serve alle macine della mola, non puole servire ne ripartirsi agli ordigni della ferriera, per non essere la detta acqua in quantità sufficiente da far lavorare nello stesso tempo tutti e tre gli edificii.”

Il Pennini non riferì troppo favorevolmente sia per la potenzialità delle miniere che per l’appalto.
Qui finisce la relazione del Pennini, che non si pone il problema del carbone; Visto il fitto bosco che ricopre Monte Santa Croce e visto quanti resti di fornaci sono sparsi intorno a Narni, Calvi, Montoro, Lo Speco, immaginiamo che il carbone fosse prodotto in loco, e soltanto i pochi anni di sfruttamento della ferriera hanno salvato i nostri boschi, mentre così non è stato per tantissime montagne che sovrastano Monteleone e Terni, come per esempio Monte Macchia Lunga che, citato da Breislach, sicuramente venne completamente disboscato per produrre carbone per le grandi acciaierie di Terni.
Da alcuni documenti piemontesi dell’800 sembra infatti che necessitasse moltissimo carbone per produrre il ferro, addirittura, utilizzando legno di faggio o castagno, occorrevano 12 chili di legna per 1 chilo di ferro, ma siccome nelle nostre zone il carbone era ottenuto da leccio e querce e siamo quasi un secolo avanti, sicuramente sarà servito molto più legname per ottenere la stessa quantità di ferro. A tal proposito Breislach nella sua relazione su Monteleone evidenzia il problema della scarsa qualità del legname e del terreno su cui venivano realizzate le carbonare, consiglia infatti di raccogliere il legname quando è privo di foglie, in modo tale da produrre un carbone più redditizio che durante il processo di fusione produca un ferro con minore percentuale di carbonio, infatti, nella seconda fucina, il ferro veniva ridotto e purificato dalle scorie di carbonio e in questa operazione si aveva una perdita del trenta per cento di metallo.

 

1761-La nuova Società

 

1761

La relazione del Pennini illuminò la R. Camera Apostolica, la quale, vista l’impossibilità da parte dello Strufaldi e del Marchi di adempiere gli obblighi assunti, cominciò a fare pratiche, incoraggiando più persone ad interessarsi dell’impresa di riaprire le mensionate cave. E le pratiche sortirono buon effetto: In seguito a quella relazione il contratto fu annullato e si concedeva l’appalto delle Ferriere di Narni per nove anni ad una nuova società (Fratelli Manfredi, Agesilao Conestabile, Marchese Eroli, Conte Francesco Scotti, Alessandro Ranieri di Terni, Onofrio degli Onofri,Spoleto; Fortunato Gioia e Alessandro Maria Schiotti di Roma). Il capitale d’impianto fu di 10.000 scudi e la direzione e l’amministrazione fu data ai fratelli Manfredi, persone di somma abilità ed esperienza in siffatti negozi.

Il 1°/3/1761 la nuova società prese possesso delle cave e degli edifici. I fratelli Manfredi si diedero subito a fare le indagini sui monti per la ricerca del minerale, ma si avvidero subito che le vene scoperte non potevano da sole alimentare le due ferriere. Sicchè fu deciso di ricorrere alla vena forastiera sottoposto alla gabella del 9 %, per impastarla con quella di Stifone. Si fecero fare delle esperienze e dei lavori, ma sia che i lavori idraulici fossero male condotti, od altre circostanze, stà il fatto che il progetto dell’innalzamento dell’acqua non ebbe il suo effetto. In occasione dei lavori per la realizzazione della centrale idroelettrica, vennero scoperti alcuni cunicoli scavati nell’interno della montagna e dei resti di mura che costituivano l’antica diga.

1762

La nuova società o compagnia delle Ferriere non avendo potuto acquistare a prezzi convenienti il ferraccio, decise di sospendere ogni spesa per la ricerca dell’acqua motrice e di restringere il cottimo dei lavori da farsi. “spese alternative alla ricerca dell’acqua per fare andare detto maglio ed i due fuochi si potrà prendere dalle mole di Narni col pagare quel meno che si potrà”. Fu stabilito inoltre di fare nuovi esperimenti con le mine per cercare la cava del ferro.

 

1784-Abbandono della Ferriera

 

Credo utile riportare il seguente brano di lettera dalla quale si rileva l’esistenza, in quei tempi, di una Ferriera a Roma, situata fuori di Piazza S. Giovanni: Il ferraccio di Stifone in quantità di circa 900 mila libbre sarà in dogana di Ripetta forse domani, ed il Sig. Felice Manfredi avviserà il Signor Gioia affinché faccia il favore di mandarlo a sdoganare e farlo accompagnare alla ferriera fuori porta S. Giovanni alle ore 12.30, per potere, alle ore 14 del giovedì, farne lui prova in presenza degli interessati.

Dai conti giurati, che ogni anno la società era obbligata di depositare nella computisteria camerale, risulta che l’industria era bastemente remunerativa. Il minerale fruttava oltre il 30% ed il ferro che ne risultava era di buona qualità. Ma qui terminano le mie ricerche sulle vicende della nostra ferriera, e sino ad ora non mi è venuto fatto di poter conoscere con precisione la vera causa per la quale non fu rinnovato, alla sua scadenza, l’affitto. Forse l’impianto di altre ferriere nello Stato Pontificio, o l’importazione a Roma del ferro di altre regioni avranno influito sulla modesta industria, la quale non potendo più sostenersi nella guerra di concorrenza, ed avendo esaurito il minerale di ferro estratto dalle cave, avrà dovuto alfine rinunziare ad ogni impresa e chiudere le sue officine. Il marchese G. Eroli, consultando alcune carte di famiglia, trovò che a cagione della concorrenza straniera non fu rinnovato l’affitto. Queste carte si troverebbero ora nelle mani degli eredi del fu March. Pietro Eroli, ma non mi fu possibile vederle, sebbene le abbia richieste ai possessori.

1784

La Ferriera di Stifone al termine dell’appalto fu dovuta abbandonare non essendo redditizia quantunque desse un rendimento del 30% di ferro di buona qualità, sul materiale scadente. Ora il tempo ha distrutto ogni traccia delle antiche esplorazioni e ricerche e solo qua e la sul Monte S.Croce si rinvengono tra le rovine delle miniere qualche pezzo di minerale rappresentato da Limonite Pisalitica, che come è noto è uno dei migliori minerali di ferro che fornisce fino al 40% di metallo. La Reverenda Camera Apostolica, essendo stata abbandonata la Ferriera di Stifone, la cedette nel 1784 a Ludovico Leocci e per lui a Don Matteo Leocci che la trasformò a Molino. Era ridotta in pessimo stato di conservazione e chiunque poteva andarvi a fare atti di pirateria.
1890
il Sig. Michele Cotogni l’acquistò per aprirvi una fabbrica di potassa ed in seguito fu dall’Ingegnere Netti, per conto del Municipio di Narni, trasformata in officina elettrica.

 

1893-Conversione a Centrale Idroelettrica

 

1893

Su progetto di Aldobrando Netti si costruisce una diga onde elevare la sorgente della Morica, presso Stifone, per ottenere la forza motrice necessaria alla dinamo, per la luce elettrica a Narni.

1895

Fu tolto tutto il materiale franoso che incombeva su quelle sorgenti fino a 6 metri sotto il pelo dell’acqua del fiume Nera e si fondò nel settembre e perdurando il bel tempo e il basso livello del fiume, nel dicembre si fece un secondo cavo parziale che chiuse tutte le perdite e si cominciò la elevazione della diga.

1897

Il 12-14 aprile fu eseguito il collaudo delle turbine, il 14 si verificò un istantaneo abbassamento dell’acqua del serbatoio. Il Municipio e la popolazione si allarmarono di questo fatto e ne scrissero all’Ing. Netti, il quale diede la colpa di quel danno all’aver trascurate tutte le operazioni preparatorie, prima di vuotare e riempire quel serbatoio, e facendo subito i rimedi del caso. Invece si attese che per circa tre mesi consecutivi le crinature capillari del calcestruzzo divenissero sempre maggiori per la grande velocità e pressione dell’acqua che le attraversava e che le fece divenire veri canali. Il Netti dopo essersi scagionato da qualunque responsabilità, stante l’urgenza, tentò un lavoro provvisorio il quale resse fino alla pressione di 9 metri, ma non scongiurò il grave danno e l’acqua, costretta da un lato, si aprì la via da un altro.

1900

Si pensò nei primi tempi di derivare la forza motrice dallo stesso fiume Nera, con un canale di derivazione e si diede mano a fare scavi e forme sostenuti da validi murature, in località poco lontane dal Ponte di Augusto, ma in seguito fu deciso servirsi delle scaturigini stesse di Stifone.

 

2011-III giornata Nazionale delle Miniere

 

La Giornata Nazionale delle Miniere è una ricorrenza realizzata in tutta Italia per promuovere il proprio patrimonio geologico e culturale ed un occasione come questa non poteva non essere presa in considerazione, infatti il 28 maggio 2011 è stato fatto un convegno a Stifone riguardante proprio quelle miniere di ferro a cui ha partecipato anche l’UTEC. Per maggiori informazioni vedere questo collegamento