L’acqua come oggetto di culto
e come servizio pubblico in
età romana

della D.ssa Daniela Monacchi

(tratto dall’omonimo opuscolo pubblicato dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, Soprintendenza Archeologica per l’Umbria, Gruppo Speleologico Utec, Comune di Narni, Maggio-Giugno 1984)

Premessa della D.ssa Anna Eugenia Feruglio

E’ frequente il caso di monumenti dell’antichità che si sono conservati fino a noi grazie alla continuità del loro uso, che ne ha impedito la distruzione da parte del tempo e dell’uomo e ha determinato quei lavori di manutenzione che, pur dando luogo talvolta a modifiche o adattamenti più o meno consistenti, ne hanno assicurato sostanzialmente la conservazione: basta ricordare, per la nostra regione, i ponti romani dell’antica Via Flaminia, sopravvissuti per lunghi anni perchè sopra di essi ha continuato a passare l’antica strada. Esempi tipici di tale situazione sono l’acquedotto della Formina e la Fonte Feronia presso Narni.

L’antico acquedotto, costruito dai Romani con grande perizia tecnica, superando molti ostacoli determinati dalle condizioni del suolo al fine di assicurare l’approvvigionamento idrico della città di Narnia e del territorio, ha assolto il suo compito per molti secoli fino all’età moderna. La Fonte Feronia, utilizzata ancor oggi, ci conserva nella persistenza del nome memoria del culto dell’antica divinità italica, connessa con il culto delle acque, venerata già diversi secoli prima dell’era volgare.

Questo delicato e complesso equilibrio, la persistenza di così diverse stratificazioni che hanno lasciato tangibile il loro segno nel territorio ora usato da noi rischia in questo momento di spezzarsi per sempre. Le esigenze sempre crescenti del mondo moderno e i progressi della tecnica richiedono l’approntamento di strutture di servizio più complesse e determinano l’abbandono degli antichi manufatti e l’installazione di altri impianti. Le modifiche intervenute nel popolamento del territorio e le trasformazioni culturali tendono a cancellare le memorie tramandatesi per secoli. E’ perciò nostro compito assicurare in forma diversa, più consapevole, la conservazione degli antichi monumenti.

Fase iniziale e imprescindibile di qualsiasi tentativo di tutela è la conoscenza il più possibile esatta dei monumenti da tutelare e la diffusione di tale conoscenza fra i più ampi strati della popolazione abitante nel territorio.

In quest’ottica và inquadrata l’attuale iniziativa che intende far conoscere ai cittadini di Narni, agli studiosi e alle persone di cultura due importanti monumenti che, pur citati dagli studiosi locali, sono praticamente sconosciuti alla bibliografia archeologica.

Tanto più sono meritevoli tutti coloro che hanno reso possibile questa iniziativa e che qui desidero ringraziare: in primo luogo i componenti del Gruppo Speleologico UTEC di Narni, in particolare Roberto Nini, che hanno richiamato l’attenzione della Soprintendenza sugli antichi manufatti e che con costante interesse ed entusiasmo hanno collaborato all’esplorazione e al rilievo dei monumenti; Il Comune di Narni per aver facilitato i numerosi sopralluoghi; Il Consorzio per i Beni Culturali del Comprensorio Amerino-Narnese per aver compiuto le ricerche di archivio; La D.ssa Monacchi che ha curato l’allestimento della mostra e il catalogo quale funzionario della Soprintendenza Archeologica per l’Umbria.

La Fonte Feronia (della D.ssa Daniela Monacchi)

Alla distanza di 280 m. a SE di Narni e a circa 140 m. ad E dell’antica Via Flaminia, sulla mezza costa del Bastione, sorge in mezzo ad una vegetazione boschiva la Fonte Feronia, articolata in un ambiente a pianta quadrata e alimentata da una sorgente incanalata da un cunicolo sotterraneo retrostante.

Il più antico atto di archivio che ricorda il toponimo è un atto del 1100 con il quale un nobile narnese, Beraldo di Rolando, donò al Monastero di Farfa i suoi beni, tranne la <> Ma è tra il sec. XII e il XIV che fu costruita sul posto una fontana, più volte restaurata successivamente come risulta dalle Riformanze Comunali, se negli Statuti del Comune di Narni si prescriveva che nessuna offesa fosse arrecata alle donne che attingevano acqua alla Fonte Ferogna.

Per la leggerezza e la bontà dell’acqua, la Fonte Feronia è stata sempre preferita alle altre fonti di Narni, tanto da essere dotata di virù terapeutiche e da essere cantata in una elegia del 1458 dal poeta ungherese Giano Pannonio.

Recenti esplorazioni condotte dal Gruppo Speleologico UTEC di Narni all’interno del cunicolo che adduce acqua alla fonte, già noto all’Eroli, hanno evidenziato l’antichità del manufatto che per la tecnica costruttiva risulta in gran parte costruito nel IV-III sec. a.C.

Il cunicolo, orientato E-O, con un percorso sotterraneo pressochè rettilineo, profondo da m. 8 a m. 1 sotto il piano di campagna degradante, lungo m. 78, alto m.2/1,70 e largo m. 0,45/0,40, ha inizio da una grotta, l’incile, scavata nella roccia calcarea, sul fondo della quale si raccoglie l’acqua che sgorga da due fenditure della roccia per essere poi condottata a pelo libero. Due pozzi verticali perpendicolari all’asse del cunicolo con pareti costruite in muratura servivano sia per l’aerazione che per l’accesso del personale addetto alla pulizia e all’ispezione del cunicolo.

A circa metà della lunghezza del cunicolo si apre una seconda grotta artificiale, che raccoglie l’acqua di un’altra sorgente, captata da un altro breve cunicolo che si raccorda a quello principale all’altezza del pozzo di accesso.feronia

Strutturalmente il cunicolo può dividersi in tre settori.

Il primo settore, a partire dalla grotta, è scavato in galleria nella roccia calcarea per un tratto di m. 17,50 a sezione irregolare ha dimensioni maggiori del resto.

Ad esso si lega il settore centrale, lungo m. 34 scavato in trincea nel terreno e costruito a cielo aperto con pareti in opera poligonale (a blocchi calcarei irregolari nella forma) e in opera quadrata (a blocchi squadrati di arenaria disposti su filari regolari) e coperto con lastroni messi in piano. Alla base delle pareti corrono gradini disposti in senso alternato e contrapposto, destinati al camminamento all’interno del cunicolo senza sporcare l’acqua e che restringono la base del cunicolo a m. 0,296, equivalente all’unità di misura di un piede romano.

Ad interventi di restauro avvenuti in età medioevale e rinascimentale si devono il rifacimento del terzo settore del cunicolo, caratterizzato da pareti costruite con blocchetti di pietra, coperto “a cappuccina” e con due gradini alla base, l’introncatura con calce di alcuni tratti di parete, le riprese in muratura delle pareti con il rialzo e il rifacimento “a cappuccina” della copertura e l’apertura della seconda grotta con il cunicolo di raccordo.

La riscoperta di una monumentalizzazione antica del cunicolo ripropone oggi in termini più concreti l’effettiva esistenza in età antica del sito circostante la Fonte di un luogo di culto dedicato a Feronia, culto che sulla base della persistenza onomastica in un luogo dotato di una sorgente d’acqua e di un bosco, era stato supposto da storici narnesi (Cotogni, Eroli) e riproposto più recentemente da studiosi che si sono occupati del Culto di Feronia (Aerbischer, Susini, Dumezil). E’ noto infatti dalle fonti (Varrone, Servio) che Feronia era una divinità di origine sabina venerata soprattutto nel IV-III sec. a.C. come dea protettrice delle acque e dei boschi e ritenuta dotata di virtù terapeutiche, come dimostrano gli ex-voto anatomici di terracotta, riproducenti parti del corpo umano, della stipa votiva offerta nel più importante santuario dedicato alla dea, quello di Lucus Feroniae al confine tra il territorio capenate e quello sabino, presso l’attuale Scorano. E’ probabile che anche a Narni Feronia fosse venerata come divinità salutare, considerate l’esaltazione e l’ampia utilizzazione dell’acqua della fonte.

Come a Narni, anche a Terracina nel santuario dedicato a Feronia esisteva una fonte ricordata da Servio e da Orazio, a Roma presso il tempio della dea nel Campo Marzio c’erano fontane connesse funzionalmente con l’area sacra e rispondenti a particolari esigenze del culto di Feronia.

Il sito della Fonte di Feronia di Narni ha inoltre in comune con gli altri luoghi di culto della dea, collocati prevalentemente nell’Italia Centrale (Trebula Mutuesca, l’odierna Monteleone Sabino; Septempeda, l’odierna S.Severino Marche, Tuficum presso Albacina; Pesaro; Bagnocavallo presso Ravenna) anche la posizione topografica, periferica rispetto alla città e prossima ad importanti vie di comunicazione, la via Flaminia e il Nera.

Anche se allo stato attuale non si conosce come si configurasse architettonicamente il luogo di culto, è possibile che esso fosse semplicemente un lucus, cioè un bosco. Lo indicherebbe la definizione di macchia cun cui il luogo è indicato nel Regestum Farfense e il confronto con gli altri santuari della dea a Terracina, Lucus Feroniae e Bagnocavallo, collocati nei boschi. Dopo Tuficum e Pesaro, che in età romana erano collocati nella regio sexta, l’Umbria, Narni costituirebbe il terzo luogo di culto dedicato a Feronia nel territorio umbro antico.

L’introduzione del culto di Feronia a Narni sembra essere in relazione al processo di romanizzazione dell’Umbria, iniziato proprio con la fondazione della colonia latina di Narnia nel 299 a.C.

Non è da escludersi che il culto di Feronia sia stato introdotto a Narni dalla vicina Sabina in età ancora più antica, considerata la preesistenza di Nequinum, la possibilità di comunicazioni tra le due regioni offerte dal Nera, confine naturale tra l’Umbria e la Sabina, dalla valle fluviale del Velino e dalla via Narni-Configni-Contigliano_Rieti e alla luce dei rapporti commerciali e culturali già attestati tra la Sabina e il territorio dell’Umbria meridionale.

 

L’acquedotto Formina (della D.ssa Daniela Monacchi)

I primi documenti a parlare dell’acquedotto Formina in termini di salvaguardia e di norme atte a regolarne la manutenzione sono gli Statuti Comunali di Narni del XIV sec. Le attente disposizioni che ne regolavano il percorso si riassumono nel divieto di piantare alberi nelle vicinanze dell’acquedotto, nelle prescrizioni di pene e multe per chi lo avesse sporcato, nell’affidamento a chiunque di compiti di polizia per arrestare chi lo avesse danneggiato e nella costruzione di muri protettivi attorno ai pozzi.

L’uso ininterrotto dell’acquedotto dai tempi più antichi fino a circa il 1920 e la sua notevole estensione hanno richiesto continui interventi di restauro che si sono susseguiti fino alla fine dell’Ottocento, come risulta dalle Riformanze Comunali, dagli storici narnesi (Cotogni, Brusoni, Cardoli, Eroli, Martinori, Onofri) e da alcune date scritte all’interno del condotto.

Grazie ai rilievi della Formina elaborati nel 1838 dall’Ing. G. Rappaini, alle notizie del Cardoli e alle più recenti e numerose esplorazioni del Gruppo Speleologico UTEC di Narni è stato possibile rintracciare e ricostruire il percorso dell’acquedotto e appurare che la Formina per l’incorporazione di due ponti conservati nella struttura originale romana, il Ponte Vecchio e il Ponte Cardona, per il tipico percorso serpeggiante dovuto alla necessità di mantenere costante la pendenza e per la tecnica dei cunicoli scavati entro le montagne risale, nella fase originale, nonostante i ripetuti restauri, all’età romana. In tal senso è significativo anche il nome Formina, allusivo, come altri toponimi similari della campagna romana alla presenza o a resti di acquedotti romani.

L’acquedotto Formina nasce da una sorgente, detta l’Origine, in località La Presa, a circa m.400 a N del paese di S.Urbano, alle pendici orientali del Monte Bandita. L’inizio, ovvero il caput acquae, si articola in una cisterna sotterranea, più volte restaurata, nella quale confluisce il cunicolo di immissione della sorgente, tuttora attiva, e dalla quale ha origine il cunicolo di emissione dell’acquedotto, ma stando alle notizie del Cardoli e alla conservazione di alcuni resti dello speco, che non consentono tuttavia un’identificazione esatta del percorso, la Formina in età romana doveva avere un’origine ancora più lontana, nella zona di Vasciano, tuttora ricca di sorgenti.formina2b

Dalla Presa fino a Narni l’acquedotto, incanalando le sorgenti di Crepacore, S.Antonio, Campora, Scarpi, L’Altro Canto e la Forminella, si snoda in direzione N O lungo le pendici della catena montuosa narnese-amerina per una lunghezza di circa 13 km. e con una pendenza di circa il 6 0/00.

A seconda della morfologia del terreno la Formina è in parte costruita con pareti proprie in muratura, in parte è scavata in galleria, secondo il procedimento indicato da Vitruvio. Laddove è costruito, l’acquedotto è ricalcato in parte dalla Strada Provinciale Narni-S.Urbano, in parte dalla Strada Comunale della Formina, ora ridotta ad un sentiero tra boschi quasi impraticabile. A sezione rettangolare alto in media m.1,25 e largo m. 0,45, il condotto, entro il quale l’acqua scorreva a pelo libero, ha le pareti costruite a blocchetti di pietra intonacate con la calce all’interno, e coperto con lastre di calcaree disposte prevalentemente a “cappuccina” o in piano o con una volta di pietre cementate.

La necessità di non perdere quota costrinse la Formina a procedere entro gallerie, alte fino a m.2, scavate con piccone nella roccia delle montagne: le più lunghe sono quelle di S.Biagio (m.490), di Monte Ippolito (m.900) e di Monte S.Silvestro (m.370). L’accesso ad esse era consentito da 55 pozzi verticali, profondi dai 15 ai 2 m., usati per l’aerazione, l’asportazione dei materiali di scavo e l’accesso del personale addetto alla pulizia e all’ispezione. Nei tratti in cui l’acquedotto è costruito la funzione dei pozzi è svolta invece da 139 bocchette ossia delle feritoie aperte a distanze irregolari nella parete del condotto.

I corsi d’acqua incontrati dalla Formina lungo il percorso sono superati o con opere di imbrigliamento o con ponti che da S a N sono quattro: il PontePennina, il Ponte Nuovo, il Ponte Vecchio e il Ponte Cardona. Quelli conservati nella struttura originale romana, a parte il Ponte Nuovo che riutilizza conci antichi, sono il Ponte Vecchio e il Ponte Cardona. Il primo attraversa il Fosso dell’Acqua e giace sotto la carreggiata della Strada Provinciale Narni-S.Urbano. Ad un solo arco, alto m.8, lungo m.13, profondo m.2,50 e di luce m.3, è costruito in opera quadrata con conci di travertino legati a secco, in parte lisci, in parte bugnati e profilati dall’anathyrosis, che ne assicurava l’allineamento verticale e il combaciamento.Sul concio in chiave dell’armilla del lato O è scolpito un simbolo fallico avente un significato apotropaico, cioè di allontanare il malocchio, come quelli incisi sulla rupe sovrastante la Via Flaminia il loc. Grotta d’Orlando. L’erosione delle sponde del fosso ha reso necessari recenti restauri del ponte, consistenti in un rinforzo in cemento alla base dei piloni con due aperture.formina1

Alla distanza di 1 km. e mezzo dal precedente giace sotto il sentiero dei Cappuccini Nuovi, in loc. Il Montello, il Ponte Cardona ad un solo arco alto m. 5,16, profondo m. 2,15, di luce m. 2,44. Le parti originali conservate sono l’armilla dell’arco, la volta e parte dei piloni: il resto appartiene ad un restauro successivo, come anche la rampa lastricata del letto del fosso. Come nel Ponte Vecchio e nei vicini ponti romani della Via Flaminia, il Calamone, il Caldaro, il Ponte c.d. di Augusto, anche nel Ponte Cardona, la tecnica edilizia usata è l’opera quadrata con conci di travertino connessi a secco per testa e per taglio, brugnati e profilati dalla anathyrosis, tranne quelli della volta che sono lisci. L’armilla, di 15 conci radiata, dovuta al taglio pentagonale di alcuni conci, che trova confronti con quello del Ponte Spiano di Sigillo sulla Via Flaminia e di altri manufatti romani databili all’inizio del I sec. d.C..

In età romana il percorso della Formina nell’area urbana non doveva essere troppo dissimile da quello riportato in una pianta del 1842 dall’Ing. M.Livoni. Dalla Porta Ternana fino alla cosiddetta Fontanella di Bucci-zona che in età romana non era urbanizzata, l’acqua scorreva ancora a pelo libero entro un condotto costruito in muratura analogo a quello extraurbano. All’altezza della Fontanella di Bucci, all’incrocio tra Via C. Nerva e Via del Monte, doveva probabilmente erigersi il castellum acquae, ossia il serbatoio di distribuzione, dal quale si diramavano i tubi di piombo (fistulae) che, applicando il principio dei vasi comunicanti, o sifone rovescio, superavano la depressione di Piazza Garibaldi e a condotta in pressione alimentavano gli edifici urbani, fra cui il lacus, la grande cisterna di Piazza Garibaldi conservata nella fase medioevale. Gli elementi formali e architettonici dei due ponti indurrebbero a collocare la costruzione della Formina nel corso del I sec. d.C.

L’attribuzione dell’opera a M. Cocceio Nerva, nonno dell’imperatore Nerva, di origine narnese, che fu curator acquarum dal 24 al 33 d.C., seppure allettante ipotesi non si basa su dati probanti.

 

NOTE: In seguito la Dott.sa Daniela Monacchi ha effettuato nuovi sopralluoghi e pubblicato altri articoli sulla Fonte Feronia e la Formina:

Un luogo di culto di Feronia a Narni
pubblicato su “Dialoghi di Archeologia” N.2, 1985
S.L. Edizioni Quasar, 1985

L’acquedotto Formina di Narni
pubblicato su “Bollettino d’arte”
del Ministero per i Beni Culturali e Ambientali N.39-40 Settembre-Dicembre 1986

Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato-Libreria dello Stato
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